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mercoledì 28 ottobre 2015

Salario minimo, risultato massimo (ovvero: Renzi, la BCE e i sindacati)

Faccio una premessa. Molto spesso i sindacati, in Italia, sono indifendibili. D'altronde, il loro massimo campione propone queste nefandezze:
Tuttavia, i sindacati servono, perché se non ci fossero i sindacati i datori di lavoro non avrebbero alcuna controparte con trattare, e se non hanno una controparte con cui trattare non hanno neppure modo di comporre gli ovvi conflitti di interessi che dividono produttori e lavoratori (con l'ulteriore e altrettanto ovvia conseguenza che, all'inizio, ci guadagnano, poi, più in là, ci perdono... tutti. È lo stesso discorso che vale per la politica e per i politici in rapporto al conflitto distributivo, come ci ha spiegato tanto bene Alberto Bagnai in questi giorni).
Dunque, siccome i sindacati servono (o almeno, dovrebbero servire), e anche visto che la Costituzione, insomma, ne parla (non che conti un piffero), mi parrebbe commendevole dolersi di qualsiasi attentato si porti, più o meno direttamente, allo loro esistenza.
Dixi. Fine della premessa.
Venendo a noi, volevo oggi attirare la vostra attenzione sull'art. 1, c. 7, lett. g) del Jobs Act (L. 183 del 2014), che contiene anche una clausoletta (mai trasposta in alcun decreto delegato) in merito alla possibile introduzione del "compenso orario minimo".
Era l'ora! Manca solo in Italia! Ce l'hanno anche in Germania! (Purché non arrivino altri profughi, ovviamente), direte voi. Io aspetterei a cantare vittoria, perché il tutto puzza di bruciato. Talmente tanto, che se ne è accorto anche uno degli house organ del renzismo dilagante.
Sì, va beh, ma comunque che c'entrano i sindacati?, aggiungerete. C'entrano, c'entrano.
Il piano è abbastanza semplice: l'introduzione del salario minimo serve per depotenziare al massimo i contratti collettivi nazionali (good ol' CCNL) e, specularmente, favorire al massimo quelli aziendali, dove le rappresentanze sindacali hanno sicuramente minore forza negoziale (ne abbiamo già parlato, vi ricordate?); a sostegno del progetto, stanno la messa in fuorigioco dei sindacati minoritari e i tentativi di limitazione del diritto di sciopero, soprattutto nel settore pubblico.

(Apro parentesi. Per quelli che non esiste il frame e non esistono gli spin doctors.

Evito di fare battute sulla recente conoscenza dell'ex sottosegretario in merito ai reati in senso stretto. Chiudo parentesi).

Siccome però bisogna dare a Cesare solo quello che è di Cesare, e a Matteo quello che è di Matteo, in questo caso l'idea non l'ha partorita direttamente il nostro vulcanico primo ministro. Nel bel mezzo della crisi dello spread, era il 5 agosto 2011, Mario Draghi e Jean Claude Trichet si rivolgevano infatti al Silvione nazionale con una simpatica letterina. Ecco alcuni estratti scelti:
Caro Primo Ministro, il Consiglio direttivo della Banca centrale europea (Bce) il 4 agosto ha discusso la situazione nei mercati dei titoli di Stato italiani. Il Consiglio direttivo ritiene che sia necessaria un'azione pressante da parte delle autorità italiane per ristabilire la fiducia degli investitori.  Il vertice dei capi di Stato e di governo dell'area-euro del 21 luglio 2011 ha concluso che «tutti i Paesi dell'euro riaffermano solennemente la loro determinazione inflessibile a onorare in pieno la loro individuale firma sovrana e tutti i loro impegni per condizioni di bilancio sostenibili e per le riforme strutturali». Il Consiglio direttivo ritiene che l'Italia debba con urgenza rafforzare la reputazione della sua firma sovrana e il suo impegno alla sostenibilità di bilancio e alle riforme strutturali... Nell'attuale situazione, riteniamo essenziali le seguenti misure...: b) ... riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello d'impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende e rendendo questi accordi più rilevanti rispetto ad altri livelli di negoziazione... Vista la gravità dell'attuale situazione sui mercati finanziari, consideriamo cruciale che tutte le azioni elencate nelle suddette sezioni 1 e 2 siano prese il prima possibile per decreto legge... Sarebbe appropriata anche una riforma costituzionale che renda più stringenti le regole di bilancio. Confidiamo che il Governo assumerà le azioni appropriate. Con la migliore considerazione, M.D. e J.-C.T.
(Riapro parentesi. Il lettore poco avveduto a livello di dinamiche macroeconomiche potrebbe chiedersi quale sia il nesso fra la contrattazione collettiva decentralizzata e riduzione del debito pubblico. La spiegazione esula dagli interessi di questo blog e comunque chi scrive non ha le competenze per parlarne... vedi alla voce permeismo. Potete però leggere quello che ne ha detto un fuoriclasse qui. N.B.: i link sono attivi perché siano attivati, dunque cliccateci sopra perché vale la pena. Chiusa di nuovo parentesi).

Dunque, si diceva che - dopo la tiepida risposta del Berlusca (che, infatti, da lì a poco sarebbe stato giubilato a favore dell'Uomo-loden, nuova icona pop della sinistra, come si nota qui a sinistra) - Renzi pare abbia preso di petto, come spesso fa, la situazione (d'altronde, se è amico di Marchionne un motivo ci sarà). Dopo il ballon d'essai del Jobs Act, da cui siamo partiti, ecco dunque che si torna a parlare anche di un vecchio testo di legge del M5s, sperso fra i faldoni parlamentari, che prevedeva - "fatte salve le disposizioni di maggior favore previste dalla contrattazione collettiva nazionale" - un salario minimo di 9 euro all'ora (in Europa, eccettuata la Spagna, si va più o meno dagli 8,5 euro ai 9,5 euro; in Italia i CCNL fissano le più diverse retribuzioni minime, ad esempio si va dai 6,6 euro nell'abbigliamento agli 11 euro nel credito). Siccome sono maligno, ho il sospetto (non proprio un sospetto) che quei 9 euro verranno prontamente abbassati e che l'inciso a tutela della contrattazione collettiva sarà eliminato, o ridotto nella sua portata (ad esempio, togliendo l'aggettivo "nazionali": vi ricordate l'art. 51 del D. Lgs. n. 81 del 2015?). I Pentastellati potranno comunque legittimamente festeggiare (insieme al sito più amato dai Bocconiani), i lavoratori compiranno l'ennesimo passettino verso la deflazione ("è un piccolo passo per un solo uomo...", ecc. ecc.).
Siccome però un indizio è un indizio, ma due o tre insieme fanno una prova, ecco il tentativo di Renzi (in questo, ben supportato dagli stessi Confederali) di ridurre al minimo l'impatto dei sindacati minoritari nelle contrattazioni, fino magari al vagheggiato "sindacato unico" (d'altronde, non che il nostro Premier non sia chiaro...), e di introdurre, per gli scioperi nel campo dei servizi pubblici, addirittura l'obbligo di previo referendum.
Si torna, insomma, al Colosseo. E il cerchio si chiude. Mi piacerebbe dunque concludere, a questo proposito, con le parole di Marta e Simone Fana su Sbilanciamoci:
il Jobs Act non è l’unico attacco sferzato dal governo alla dignità del lavoro, ma un tassello di un disegno generale volto alla legalizzazione dello sfruttamento, da consumare dentro il perimetro del pubblico, in modo da arginare ogni barriera all'azione prevaricatrice nel settore privato. In questo modo, si palesa nettamente uno dei capisaldi del programma renziano, che fin dai suoi albori si scagliava contro l’impiego nel settore pubblico, reo di troppa protezione rispetto a quello privato. Una visione che trova conferma nel protocollo di intesa, attivo dallo scorso febbraio, tra Ministero del Lavoro, Anci e Terzo settore, il quale prevede che i beneficiari di sussidi di sostegno al reddito... possano prestare volontariamente servizio presso le amministrazioni comunali o enti locali, “nell'ambito di progetti di utilità sociale realizzati dalle organizzazioni del terzo settore e da comuni e enti locali”... [senza corresponsione, ovviamente,] di alcuna retribuzione..., [né di] contributi previdenziali.

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