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mercoledì 12 aprile 2017

Il malfunzionamento del bail-in visto dai liberisti

Lo scorso marzo l'ICMB ha pubblicato un accurato report su funzionamento e criticità dei processi di bail-in in USA e nell'Eurozona. Alcuni spunti della ricerca sono tanto più interessanti ove si consideri da un lato l'ortodossia liberista dell'Istituzione che ha prodotto il documento, dall'altro l'ampio seguito che tali Istituzione ha tra i decisori politici (tra i suoi sponsor si trovano non soltanto le banche centrali dei Paesi maggiormente sviluppati, compresa la Banca d'Italia, ma anche le più importanti banche d'affari svizzere e dell'UEM).
Il documento si divide in tre parti: la prima mette a confronto le due principali normative che prevedono la risoluzione degli intermediari finanziari mediante bail-in, cioè - per quanto riguarda gli USA - il Dodd-Frank Act (“DFA”, v. qui) e - per quanto riguarda l'UEM - la Direttiva BRRD; la seconda prende in considerazioni le principali crisi bancarie, anche sistemiche, degli ultimi anni, al fine di evidenziarne le diverse modalità di soluzione; l'ultima, riepiloga le principali "questioni aperte" nelle due normative, rispetto alle quali porta alcuni suggerimenti.

Indipendentemente dalla minuzia della ricerca, cosa si ricava - in linea generale - dalla lettura del documento?

In primo luogo, che disposizioni giuridiche molto simili, determinate con ogni probabilità da teorie economiche analoghe, hanno effetti profondamente diversi a seconda del contesto politico del Paese o dei Paesi in cui si applicano.
A Leuropa, o meglio - come giustamente notano anche gli autori del paper - in quella parte di Leuropa che ha adottato l'Euro ed ha sottoscritto gli accordi noti come banking union, la decisione in ordine alla eventuale apertura di una "procedura di risoluzione" è del "Single Resolution Board" (SRB), cioè una Agenzia dell'UE, del tutto indipendente (e, pertanto, come al solito del tutto irresponsabile nei confronti dei corpi elettorali dei singoli Paesi), la quale - unitamente alle Autorità nazionali di risoluzione (cioè le varie Banche centrali, anch'esse indipendenti, che è come dire legibus solutae, ci mancherebbe altro) - formano il "Single Resolution Mechanism" (SRM).
Negli Stati Uniti, al contrario, la medesima decisione è affidata - e gestita - in primo luogo dalla Federal Deposit Insurance Corporation, cioè da una Agenzia (anche in questo caso indipendente: d'altronde siamo sempre e comunque negli Stati Uniti), di livello federale, la cui funzione primaria (sin dal Glass-Steagall Act, che la costituì) è quella di fornire una assicurazione sui depositi delle banche fino a 250.000 dollari per depositante.
La capite la differenza sostanziale? Negli USA il processo di risoluzione è guidato proprio da quello "schema assicurativo" - uguale per tutti i cittadini di gli Stati - che, al contrario, in Europa - anzi: a Leuropa - non si è neppure voluto costituire, e che anzi rappresenta proprio il principale anello mancante della banking union (si tratta dell'EDIS, Europea Deposit Insurance Scheme).
A questo, aggiungete che "non esiste un Tesoro nell'Unione Bancaria o nell'Eurozona, cosa che comporta risorse pubbliche per la risoluzione molto più limitate" e che nell'UEM "ci sono diverse leggi fallimentari tutte differenti, cosa che rende difficile un unico processo di risoluzione" (per di più, il SRM non è neppure una Istituzione ma una Agenzia intergovernativa derivante fra una Commissione e il Consiglio, mentre in USA la costituzione attribuisce al congresso la sovranità monetaria).
Il risultato pratico è ovvio.
Regole nazionali differenti, la mancanza di un'assicurazione europea sui depositi, la ridotta disponibilità di fondi per interventi statali (non a caso, mentre negli USA l'intervento pubblico può giungere fino a coprire il 90% del valore degli attivi del gruppo oggetto di risoluzione, nell'UEM il Single Resolution Fund interviene soltanto dopo che almeno l'8% delle passività dell'Istituto sono state oggetto di bail-in) hanno creato - diversamente dagli Stati Uniti - una insicurezza diffusa che ha comportato e tuttora comporta fughe ingenti di capitali da Istituti ritenuti, a torto o a ragione, in difficoltà. Con l'unico risultato di rendere questa difficoltà ancora più ardua da superare.
[Non parlo di bank run perché su Twitter, l'altro giorno, i soliti liberisti con le natiche in conto terzi mi hanno spiegato che si tratta, in realtà, di riallocazione efficiente dei capitali. Sempre secondo questi scienziati della finanza, grazie alla perdita di oltre 20 miliardi in un anno, Mps dovrebbe riuscire a efficientarsi (?) e a sviluppare modelli di business innovativi (?)].
Non solo: mentre negli USA - che sono uno Stato, non una pseudo-confederazione di Stati semisovrani - il mercato finanziario è tendenzialmente omogeneo, al contrario i Paesi leuropei hanno peculiarità e tradizioni tali per cui one size unfits all. Un paragrafo intero del report ICMB è dedicato alla peculiare situazione italiana: "l'Italia nel 2016 si trova in una situazione per certi versi comparabile con quella della Spagna nel 2012, salve alcune importanti differenze. In primo luogo, non possiede due pilastri finanziari con la forza di BBVA e Santander. Secondariamente, in Italia la fonte principale di NPL si riscontra nel credito alle Piccole e Medie Imprese - garantito con ipoteche su immobili - e non nei mutui a privati o a imprese di costruzione. Infine, l'altra importante e peculiare caratteristica della crisi bancaria italiana è l'esposizione dei risparmiatori [nel testo: retail investors, N.d.R.] alle obbligazioni bancarie subordinate".
Gli Autori condannano il misselling di titoli che possono essere oggetto di bail-in a risparmiatori italiani, salvo poi concludere non per il divieto tout-court di vendita di tali strumenti a soggetti non professionali, bensì semplicemente per l'obbligo di detenzione degli stessi "attraversi fondi comuni diversificati". Giusto. Così non solo continuo ad averci i subordinati, ma li detengono senza saperlo e per restare nell'ignoranza pago laute commissioni al mio gestore.

Seconda considerazione: mentre negli USA le scelte delle Autorità pubbliche - anche in ordine all'utilizzo di fondi pubblici - hanno in ultima analisi, come unica bussola, la minimizzazione degli effetti della risoluzione in particolare a livello sistemico, in UE le regole dell'Unione Bancaria si intersecano con le competenze della Direzione Generale per la Concorrenza all'interno della Commissione Europea.
Il paper sottolinea come "il sistema legale relativo agli Aiuti di Stato rappresenti una parte importante delle politiche sulla concorrenza. L'utilizzo di risorse pubbliche nei Paesi membri dell'UE è consentita soltanto se contribuisce agli obiettivi di comune interesse ed alla crescita economica" (quanto siano davvero di comune interesse gli obiettivi fissati dalla Commissione Europea è spiegato assai bene qui, N.d.R.). La norma di riferimento è l'art. 107 del TFUE: "salvo deroghe contemplate dai Trattati, sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza". Ai commi 2 e 3 si trovano le eccezioni. Quelle legittime in ogni caso ("gli aiuti a carattere sociale concessi ai singoli consumatori, a condizione che siano accordati senza discriminazioni determinate dall'origine dei prodotti; gli aiuti destinati a ovviare ai danni arrecati dalle calamità naturali oppure da altri eventi eccezionali; gli aiuti concessi all'economia di determinate regioni della Repubblica federale di Germania...") e quelle legittime previo giudizio della Commissione ("gli aiuti destinati a favorire lo sviluppo economico delle regioni ove il tenore di vita sia anormalmente basso, oppure si abbia una grave forma di sottoccupazione...; gli aiuti destinati a promuovere la realizzazione di un importante progetto di comune interesse europeo oppure a porre rimedio a un grave turbamento dell'economia di uno Stato membro; gli aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attività o di talune regioni economiche...;  gli aiuti destinati a promuovere la cultura e la conservazione del patrimonio...".
Questa situazione crea un potenziale conflitto difficilmente componibile, come sta dimostrando il caso Montepaschi (che, come è noto, si qualifica quale "ricapitalizzazione precauzionale" ed è pertanto sottoposta non al bail-in vero e proprio, quanto piuttosto al principio del burden sharing di cui alla Comunicazione DG COMP del 30 luglio 2013, oggetto anche della nota sentenza della CGCE). Infatti: da un lato, "quando l'uso di strumenti di risoluzione comporta l'erogazione di Aiuti di Stato, gli interventi pubblici devono essere determinati nel rispetto con le norme rilevanti in materia di Aiuti"; dall'altro, la stessa Direttiva BRRD - in ordine alla legittimità di un intervento pubblico - richiama la presenza del "grave turbamento all'economia" e fissa altresì alcuni paletti, molto stretti, anche rispetto alle modalità di tale intervento (in sostanza, garanzia statale sulle nuove emissioni obbligazionarie o acquisto di strumenti di capitale proprio a prezzi di mercato: quello che prevede il D.L. 237 del 2016).
Si ricrea nuovamente un problema di fiducia (e, in seconda battuta, addirittura di sovranità). Alla mancanza di una assicurazione europea che garantisca i depositanti, con i bei risultati cui ho accennato sopra (e di cui sono piene le cronache), si aggiunge l'assenza di un sistema di back-stop pubblico che non sia il ricorso all'ESM nelle sue varie forme. Ma si sa: l'ESM impone condizionalità. E le condizionalità le stabilisce la Troika (quella vera, non quella qui accanto).
La cosa è resa ancora più grave dal fatto che la disciplina sul bail-in si applica - senza neppure norme transitorie - a partire dal 2016, mentre l'implementazione definitiva dei requisiti MREL (Minimum Requirement for own funds and Eligible Liabilities: requisito introdotto dall'art. 45 della BRRD, si tratta del coefficiente dato da fondi propri e passività ammissibili fratto passività e fondi propri, includendo pertanto al numeratore, oltre al capitale regolamentare anche altre passività con particolari caratteristiche) e TLAC (analogo coefficiente di vigilanza, valido solo per gli Istituti di rilevanza sistemica e livello globale, che press'a poco corrisponde al MREL, salvo prevedere la subordinazione degli strumenti eleggibili: v. articolo qui) non avverrà prima di fine 2018. Ad oggi, vi sono differenze sostanziali, tra le varie legislazioni dei diversi Stati membri, non soltanto in relazione alle leggi fallimentari ed alle modalità di riscossione delle garanzie, ma anche nella trasposizione dei requisiti TLAC e MREL previsti a livello europeo (ad esempio, la legislazione francese ha creato una nuova categoria di titoli senior ma "non-preferred"- cioè subordinati - in opposizione ai titoli senior "e" preferred).
Evidentemente, il risparmiatore si sentirebbe molto più tranquillo (soprattutto all'atto di acquistare obbligazioni senior della Banca) laddove il proprio Istituto di credito potesse esporre un TLAC tale da garantire il rispetto della soglia dell'8% prevista dalla BRRD. Il che, comunque, non risolve il connesso problema in ordine alla capacità del mercato di assorbire gli strumenti che le banche dovranno emettere per rispettare i requisiti di cui sopra.

Infine, un'ultima considerazione, la più importante, e cioè la assoluta discrezionalità, sfociante nell'arbitrio, in merito alle modalità di applicazione delle disposizioni del DFA e della BRRD. Arbitrio che, nel caso statunitense, è in qualche modo necessitato dalla volontà dell'organo politico di poter decidere sull'esistenza di fattori di rischio o di opportunità tali da imporre una deviazione dalle regole prefissate, mentre nel caso leuropeo (dove un organo politico democraticamente responsabile manca, così come manca qualsiasi forma di solidarietà - leggi: trasferimenti - fra Paesi membri) finisce per tradursi nel noto adagio secondo cui le leggi per gli amici si interpretano e per i nemici invece si applicano.
Secondo il documento, "deve essere chiaro che il primo a muoversi è l'SSM, sulla base delle sue risultanze contabili. Considerazioni di opportunità politica dovrebbero essere lasciate al Consiglio e alla Commissione". Cioè a due organi non eletti.
Le evidenze empiriche riportate nella seconda parte del documento sono, in questo senso, disarmanti. Si tratta di poche paginette che consiglio a tutti di leggere; riporto comunque, per comodità, la tabella riassuntiva finale, nella quale gli estensori calcolano il rapporto fra le risorse pubbliche impiegati nelle diverse ricapitalizzazioni di banche e il totale di tali ricapitalizzazioni (tale rapporto è definito con l'acronimo "PSI").


A volte i casi della vita sono veramente strani: le maggiori risorse pubbliche (in proporzione) sono state utilizzate per salvare una banca franco-belga, mentre in un solo caso tutta la ricapitalizzazione è gravata sulle spalle dei privati (e il caso riguardava una banca cipriota). D'altronde, gli estensori del paper notano più volte, come se fosse una cosa normale, che la procedura di bail-in seguita a Cipro andrebbe studiata al fine di sapere come non gestire una situazione analoga, ma che la questione non ha in pratica avuto importanza dal momento che la maggior parte dei correntisti erano di nazionalità russa. Rimando ad altri l'arduo compito di rintracciare il nesso di causalità tra le affermazioni.

Le soluzioni prospettate, peraltro, sono assai peggiori del male. Il mantra è sempre il solito: se una cosa non funziona, è perché ne serve di più (mito dell'insufficienza).

Siccome gli interventi, tardivi e parziali, nei confronti delle banche europee creano instabilità finanziaria e volatilità, servono più interventi e di maggiore portata (con conseguenti perdite gravanti sui risparmiatori), perché maggiore volatilità a breve significa minore volatilità nel lungo termine (tutti sappiamo, in effetti, che non vi sarà volatilità, nel Regno dei Cieli). "I Regolatori dovrebbero applicare le regole, senza prestare orecchio alle Cassandre secondo cui qualsiasi evento è sistemico... In quest'ottica, il principio di fondo dovrebbe essere 'mai sprecare una crisi'. Il ritardato intervento nel caso del Monte dei Paschi di Siena è, a nostro parere, uno dei casi in questione".
Siccome per quasi quaranta pagine gli autori si sono lamentati della scarsa trasparenza nella applicazione delle procedure, della voluta vaghezza delle norme (il concetto di "rischio sistemico" non è mai definito nei testi leuropei), dell'arbitrio con cui spesso queste sono applicare, si chiede una maggiore indipendenza dell'SSM (basata sulla nomina di membri stabili, cioè di tecnici, di saggi), così da rendere ancora più grave il problema, che è evidentemente un problema di mancanza di rappresentatività democratica.
Siccome gli Autori hanno appena scritto sessanta pagine su cosa non funziona in questa farraginosa regolamentazione leuropea, concludono giustamente dicendo che ci vuole un'unificazione a livello di UE anche in materia fallimentare, e delle banche e delle imprese. Non solo: se il sistema è malfunzionante è perché l'UEM non si configura ancora come un unico sistema giurisdizionale (mito della radicalità).
Manco a dirlo, la liquidità straordinaria (ELA) per le banche in risoluzione dovrebbe essere erogata come minimo dalla BCE e non dalle Banche Centrali nazionali, ma meglio sarebbe addirittura un intervento del Single Resolution Fund (SRF).
Il finale è in linea con le proposte precedenti.
Gli Autori testualmente propongono di "subordinare una ricapitalizzazione precauzionale a condizioni maggiormente stringenti, tra cui una serie di elementi quantitativi e qualitativi, al fine di evitare un uso discrezionale dei fondi pubblici prima dell'apertura di una procedura di risoluzione" (addirittura, propongono di inserire, negli stress test, uno scenario intermedio tra lo scenario base e quello avverso, imponendo il bail-in e non la ricapitalizzazione preventiva anche in caso di fallimento soltanto degli ultimi due) e di "limitare le eccezioni al principio del bail-in a categorie chiaramente definite di debito".

Quello che ci hanno riservato passato e presente lo abbiamo visto. Forse queste proposte ci svelano anche cosa ci riserverà il futuro.

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