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martedì 7 marzo 2017

La Sindrome di Roma (della proposta di una tassa sulle banche)

Il Corriere della sera di domenica lancia la notizia (rispetto alla quale non ho trovato riscontro su altri quotidiani) secondo cui, alla Conferenza di Roma del prossimo 25 marzo, l'Italia potrebbe proporre una tassa europea sulle banche per il finanziamento di un fondo europeo di garanzia dei depositi bancari e del fondo di risoluzione, nonché (oppure ovvero, dall'articolo non è chiaro) l'introduzione dell'Iva sui servizi finanziari per la creazione di un'assicurazione comune contro la disoccupazione e per incentivi agli Stati che attuino le famigerate "riforme strutturali".

La prima proposta prevedrebbe, in sostanza, l'armonizzazione della base imponibile per il calcolo delle imposte dirette degli Istituti di credito ed il trasferimento di una parte di tali tributi - oppure di una nuova addizionale - all'Unione Europea (che li utilizzerebbe per il finanziamento del SRF o del MES).

Non sto a ripetere quale sia lo stato di salute del sistema bancario italiano, che ha archiviato il 2016 con 15 miliardi di Euro di perdite, appare ancora particolarmente vulnerabile agli choc economici, non ha ancora risolto la questione dei crediti problematici (e dei conseguenti aumenti di capitale che interessano, come minimo, Mps, le due venete in corso di fusione, Ubi e Carige).
In questa situazione, è pensabile un inasprimento della pressione tributaria (perché questo, di solito, vuol dire fra le righe l'espressione "armonizzazione della base imponibile")?
Non solo: questa armonizzazione terrà conto delle specificità degli Istituti di credito dell'Europa del sud, oppure sarà un modo surrettizio per mettere nuovamente in discussione la disciplina delle DTA dopo l'accordo dello scorso novembre?
(In caso di significative svalutazioni su crediti, l'imponibile fiscale delle banche non permette la deduzione integrale di tali svalutazioni. Le "future minori imposte" che la banche pagheranno grazie alla deduzione, negli anni a venire, di tali svalutazioni prendono il nome di "imposte anticipate" - DTA con acronimo inglese - e possono essere automaticamente trasformate, dagli Istituti di credito, in "crediti imposta" iscritti in bilancio. La Commissione - per non ritenere tale legislazione assimilabile a un Aiuto di Stato - ha imposto alle banche il pagamento di una specie di canone annuo calcolato come percentuale delle DTA trasformate in crediti. È evidente che la modifica di tale disciplina a livello europeo impatterebbe in modo asimmetrico sulle banche del Sud Europa rispetto a quelle tedesche o francesi).
Infine, l'imposta interessata sarebbe l'Ires o l'Irap? Perché per quanto attiene l'Ires, gli Istituti di credito sconteranno un'addizionale del 3,5% rispetto agli altri soggetti passivi (in modo da sterilizzare la diminuzione dell'aliquota dal 27,5% al 24% entrata in vigore quest'anno), mentre per quanto attiene all'Irap già pagano lo 0,75% in più delle comuni imprese.
(Peraltro, la maggiore aliquota Ires - al contrario di quanto potrebbe apparire - è una norma di favore per le banche: la riduzione - nella legge di stabilità 2016 - dell'aliquota Ires futura, infatti, avrebbe comportato la riduzione del valore attuale delle DTA iscritte nei bilanci, con conseguenti perdite miliardarie già nei bilancio 2015. Tuttavia, le possibili modifiche al calcolo della base imponibile di cui si è detto sopra e l'ulteriore inasprimento della pressione fiscale potrebbero trasformarsi, alla fine, in un peso gravoso per gli Istituti).
Secondo quanto scrive l'articolista - che pare aver visionato, sia pure confusamente, il testo prodotto dal nostro Ministero dell'Economia - questa quota di tributi potrebbe andare a finanziare o il chimerico EDIS, o il Fondo di Risoluzione (SRF), o addirittura lo Strumento di ricapitalizzazione diretta delle banche del Meccanismo Europeo di Stabilità (ESM).
(L'EDIS altro non è - anzi, non sarebbe visto che non esiste - che un Fondo europeo di garanzia per i depositi dei clienti retail delle banche europee uguale al Fondo interbancario di tutela dei depositi, o FITD, esistente in Italia. L'EDIS ha - avrebbe - il vantaggio di avere ampiezza continentale, così da poter rispondere anche a shock sistemici del sistema finanziario di un Paese membro. Il SRF, cioè il Single Resolution Fund, è un fondo europeo, istituito nel quadro dell'Unione Bancaria, che interviene in caso di risoluzione di una banca dopo che almeno l'8% delle passività della stessa sono state oggetto di bail-in e ripiana fino al 5% delle medesime passività. La missione dell'ESM  - che significa European Stability System, - missione è quella di fornire assistenza finanziaria ai Paesi dell'Eurozona colpite o minacciate da gravi problemi nel settore delle finanze pubbliche o in quello delle finanze private. Gli strumenti dell'ESM sono i più vari: finanziamenti agli Stati - a oggi Cipro Spagna, Portogallo e Irlanda - qualora questi non abbiano accesso ai mercati finanziari ovvero debbano pagare interessi talmente alti da mettere in crisi la sostenibilità del debito; acquisti di titoli di Stato sul primario o sul secondario, strumento mai utilizzato a oggi soprattutto per la presenza del QE della BCE; ricapitalizzazione del sistema bancario di un Paese membro, sia in via diretta, mai verificatosi, sia in via indiretta, sperimentato in Spagna).
EDIS. È noto che la Germania (per semplificare) non permette la costituzione dell'EDIS se prima le banche del Sud Europa non riducono significativamente la loro esposizione in Titoli di Stato dei propri Paesi di stabilimento. Per raggiungere l'obiettivo, l'idea sarebbe quella di non considerarli più risk-free ai fini del calcolo degli assorbimento di capitale degli Istituti. Padoan, in passato, pareva aver fatto muro rispetto a questa pretesa. Questo documento è il primo passo verso un cambiamento dell'atteggiamento del nostro Paese su un tema così delicato?
SRF. Le banche già versano in maniera significativa a questo fondo. Ha senso incrementarne le quote annue? Tra l'altro, non è secondario notare come alcuni Istituti abbiano francamente ammesso, con i propri clienti, di modificare in peius le condizioni di conto corrente proprio per rispondere alle maggiori spese per tale schema, per il FITD e per altri obblighi simili. Come al solito, tassare soggetti in regime di oligopolio si rivela una chimera, dal momento che i soggetti incisi finiscono per essere sempre i consumatori finali.
ESM. L'idea sarebbe quella di incrementare il Fondo di ricapitalizzazione diretta delle banche (attualmente limitato a 60 miliardi di Euro), il cui fine è "contribuire a rimuovere un serio rischio di contagio dal settore finanziario al settore delle finanze pubbliche, consentendo la ricapitalizzazione diretta delle istituzioni" finanziarie di un Paese membro. Bello, direte voi. Insomma. La peculiarità dell'ESM è quello di agire sempre sotto stretta condizionalità, cioè di imporre famigerate "riforme strutturali" asseritamente volte a rimuovere le cause delle difficoltà del settore finanziario e, se del caso, della situazione economica generale del malcapitato Stato membro.
Insomma, per farla breve: l'utilizzo di uno strumento ESM impone la cessione della propria sovranità alla Troika. Cosa sia e cosa faccia la Troika non lo spiego. Leggete un qualsiasi articolo sulla situazione in Grecia (o anche sulla situazione del mercato del lavoro in Spagna).
(Sottolineo, per chi non lo sapesse, che i fondi dell'ESM sono erogati solo sotto "stretta condizionalità". Per esempio, nel caso di Stati, "i prestiti ESM sono erogati sotto la condizione dell'implementazione di programmi di riforme macroeconomiche predisposte dalla Commissione Europea, unitamente alla Banca Centrale Europea e, ove necessario, al Fondo Monetario Internazionale").
Ora, quest'ultima ricostruzione è un po' inquietante perché si sposa perfettamente con il Position Paper presentato dall'Italia proprio un anno fa. In quel documento, infatti, si parlava proprio di un collegamento fra SRF e ESM, di un ammortizzatore sociale europeo (v. sotto), nonché della possibile costituzione di un "Referente unico" per il bilancio dell'UE. Guarda caso, l'articolo del Corriere parla proprio, in un inciso, di un fantomatico Ministro delle finanze dell'Unione. Qui finisce che l'anima nera del governo non era Renzi, ma Padoan...

La seconda proposta prevedrebbe, invece, l'introduzione dell'Iva sui servizi finanziari (ad oggi integranti operazioni esenti). L'Iva, come si sa, è una imposta propria dell'UE, che dovrebbe utilizzare queste maggiori risorse per la costituzione di "un fondo europeo per integrare il salario dei disoccupati" e di "un altro per sostenere le riforme strutturali".

È chiaro? Qui si parla, in sostanza, della realizzazione di una specie di Reddito Minimo Garantito (RMG) su scala europea, cioè del tentativo di indurre i popoli del Vecchio continente a barattare - una volta per tutte - il diritto al lavoro con il diritto a un reddito, con tutto quello che ne consegue in termini di ricattabilità, minore autonomia, compressione dei salari, e così via.
(Chi non fosse avvezzo a questi temi, può leggere questo post di Alberto Bagnai e questo post del Pedante, che spiegano con limpidezza le cose come stanno).
Da un certo punto di vista, è piuttosto paradossale pensare che la definitiva precarizzazione del mondo del lavoro passi per la tassazione indiretta dei servizi finanziari, quegli stessi servizi finanziari che permettono - per il tramite del credito al consumo - di trasformare precari e disoccupati con redditi di mera sussistenza in consumatori di quegli stessi beni che producono per salari deflazionati e dal reddito minimo garantito o dalla sostituzione del CCNL con altre forme (legali o pattizie) di determinazione delle retribuzioni.
Ovviamente, l'idea di un RMG è strettamente connessa a quella delle "riforme strutturali".
Sì, perché le riforme strutturali sono il nome presentabile - ad usum dei media più sensibili alla propaganda (cioè quasi tutti) - proprio della sullodata deflazione del lavoro. In termini un po' brutali: per riforme strutturali si intendono tutte quelle modifiche legislative che sono volte a migliorare la bilancia commerciale di un Paese tramite la riduzione delle importazioni (via distruzione della domanda interna mediante innalzamento della tassazione) e l'incremento delle esportazioni (mediante riduzione del costo del lavoro, cioè degli stipendi).

Noi, proprio noi, proponiamo questa roba. Tra poco la Sindrome di Stoccolma cambierà nome. Si chiamerà Sindrome di Roma.

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