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mercoledì 1 marzo 2017

Brevi considerazioni in margine ad una immane tragedia (etica & politica)

Mi avventuro in un campo che non è il mio, cioè quello dell'etica e, soprattutto quello del rapporto fra etica e politica, foro interno e Stato. L'orrendo sciacallaggio - da parte di pseudo-politici al servizio di inconfessabili interessi - di cui è stato vittima il povero ragazzo che si è recentemente dato la morte in Svizzera, impongono a mio avviso qualche riflessione.
Come chiunque di noi, anch'io ho un'opinione (pur incrinata da dubbi e ripensamenti) su questioni cruciali nell'esistenza di ciascun individuo: l'eventuale regolamentazione del "fine vita", o delle modalità di utilizzo delle tecniche di "procreazione assistita" (quando queste comportano la selezione degli embrioni fecondati), fino ai temi da sempre presenti nel dibattito politico, da quelli meno angoscianti a quelli più gravi e delicati, come l'aborto (la cui trattazione richiederebbe un post a sé, richiedendo una valutazione ulteriore, di natura non solo etica ma anche scientifica, in ordine alla "personalità dell'embrione"). Tuttavia, non voglio utilizzare questo spazio per dire come la penso: non perché me ne vergogni, ma perché non lo trovo utile e, oltre a questo, neppure interessante.
Mi sembra invece più giusto fare qualche considerazione generale su un problema di fondo, che è quello di come uno Stato laico (intendendo per "laico" uno stato non necessariamente e pregiudizialmente anti-religioso, o volto al sovvertimento delle basi di una certa religione, ma, semplicemente, "non teocratico") e democratico dovrebbe approcciarsi a questioni che riguardano la sfera etico-comportamentale del singolo cittadino.
Uno Stato occidentale qualsiasi; pertanto, evito di entrare in una analisi minuziosa sia delle libertà previste nella prima parte della nostra Costituzione (libertà che - per giurisprudenza costante della Corte Costituzionale - hanno un contenuto negativo uguale e contrario a quello positivo proprio delle singole norme: così, salvo quanto previsto dall'art 32, c. 2, Cost., in linea generale il diritto alla salute è anche diritto a non curarsi), sia delle contrarie disposizioni - qua e là rinvenibili nei codici fascisti (il nostro codice civile è del 1942, il codice penale del 1931) - la cui portata è stata più volte oggetto di valutazione da parte dei giudici (si pensi all'art. 5, c.c., e agli artt. 579, c.p. e 580, c.p.).
Peraltro, nel pensiero etico-politico europeo si possono ricostruire, in sostanza, due "orientamenti" tra loro contrapposti, che fanno da poli di attrazione per le più varie posizioni, più o meno sfumate.
La prima. Quella di coloro che postulano da un lato l'indisponibilità di quei diritti che, pur rivolti al soddisfacimento di un interesse del singolo, sono altresì funzionali all'interesse della collettività (per esempio il diritto alla vita: v. Cass., 18 novembre 1954), dall'altro l'ontologica limitabilità - da parte dello Stato - di quegli altri diritti che, al contrario, si potrebbero porre in latente contrasto con il bene della comunità (per esempio, il diritto all'autodeterminazione affettiva rispetto al "valore" della stabilità della famiglia). Potremmo dire, efficacemente, che i primi tipi di diritti si trasformano in doveri, i secondi sono ristretti da speculari doveri.
La seconda. Quella di chi, invece, ritiene i beni oggetto delle "libertà civili" sempre e comunque disponibili in virtù del sovrano principio dell'autodeterminazione, a condizione che - in questo modo - non vengano ad essere lesi i diritti e le libertà altrui. Quando questa tesi è applicata alla materia del fine vita, questa tesi si salda con l'altro orientamento, correlato, che valorizza la "inviolabilità della dignità della persona", sul presupposto che, esistendo l'autodeterminazione in ordine alla qualità della propria vita, soltanto il singolo sarebbe legittimato a decidere fino a quando questa possa considerarsi degna e meriti di essere vissuta (nel nostro Paese Stefano Rodotà è stato un pioniere in questo campo).
Ad oggi, in Europa occidentale quest'ultima tesi è largamente dominante, come dimostrano le varie legislazioni che permettono il suicidio assistito e/o l'eutanasia passiva (v. foto qui a fianco, di fonte Ansa), l'aborto sostanzialmente su richiesta senza ulteriori requisiti (v. foto sotto), la fecondazione anche eterologa e la selezione degli embrioni, e così via. Nella materia specifica del "fine vita", la stessa CEDU ha statuito la legittimità delle leggi che prevedono l'eutanasia passiva e la legittimità di trattamenti medici basati sul c.d. "testamento biologico" (di cui si sta parlando anche nel nostro Parlamento) o su condotte congruenti prima di incidenti comportanti uno stato di incoscienza (cfr. il caso di Eluana Englaro e art. 6 della Carta di Oviedo). Nel nostro Paese, che ha normato soltanto il tema della fecondazione assistita (peraltro con una legge che è stata smentita pesantemente da svariate pronunce di merito), la Corte Costituzionale è intervenuta spesso su questioni assai delicate, concludendo in sostanza per la comprimibilità del diritto del singolo soltanto laddove venga in evidenza non soltanto l'interesse di questo, ma un più ampio principio solidaristico (così Crisafulli, Sandulli, Flick).
Il problema, peraltro, è reso ancora più complesso laddove ci si addentri nelle questioni, collegate, sia della eventuale invocabilità, da parte del medico che assiste il paziente che richiede l'eutanasia, di invocare l'obiezione di coscienza, sia della possibilità, per il non medico, di aiutare il malato che aspira a morire (cfr. Pinelli, in Riv. Dir. Civ., 2011, 5, 10697, e bibliografia ivi citata).

Ciò premesso, mi sembra giusto fare qualche considerazione ulteriore.

1) A fronte di una sempre maggiore sottolineatura del profilo personalistico dei diritti civili, mi pare che sia incontrovertibile la necessità che lo Stato ne valuti anche i rapporti con l'interesse della comunità che rappresenta, onde verificare - se del caso - la necessità di limitarne l'ampiezza. Senza ipocrisie, l'indirizzo politico è anche - entro i limiti costituzionalmente consentiti - difesa di determinati "valori" necessari al mantenimento di una certa coesione sociale, basilare per la stessa sopravvivenza dello Stato.
Questo è un punto che mi sta molto a cuore, soprattutto in un contesto politico continentale in cui il potere legislativo dell'Unione (Commissione e Parlamento Europeo, diciamo) utilizza il paravento delle libertà per minare alle fondamenta lo Stato nazionale e le sue comunità (d'altronde, c'è un evidente conflitto di interessi fra i diversi ordinamenti) nonché, in ultima analisi, la civiltà occidentale come si è sviluppata negli ultimi due millenni.
Ad esempio: la famiglia come "società naturale fondata sul matrimonio" è ritenuta una cellula fondante sulla società, oppure no? La risposta a questa domanda non può non informare l'attività legislativa. La difesa della vita umana anche oltre la stessa volontà del singolo è ritenuta prioritaria per il corretto sviluppo della comunità, oppure no? Se sì, evidentemente si privilegerà un'interpretazione la più ampia possibile dell'art. 32, c. 2, Cost., e così via.
Né, a mio avviso, si può nascondersi dietro al dito delle più liberali legislazioni degli altri Paesi: se si ritiene di dover garantire un diritto, lo si faccia e basta; se si ritiene che questo diritto in realtà collida con un più importante dovere di solidarietà nei confronti della propria comunità, non si invochi a scusante questa specie di "Schengen dei diritti civili". Esiste il principio generale del c.d. "ordine pubblico": se si ritiene opportuno, utilizziamolo.
Il tutto, senza dimenticare un punto che, mi auguro, unisca tutti gli uomini di buona volontà, indipendentemente dalle differenti posizioni nel dibattito: e cioè che una morte è sempre e comunque una sconfitta per tutti, a partire dallo Stato (v. punto 2).

2) Se però lo Stato limita un certo diritto per un superiore fine di coesione sociale, deve anche porre in essere politiche positive che aiutino i propri cittadini a non scontrarsi (spesso a prezzo di grandissima sofferenza) con tali limiti.
Se si limita la possibilità di aborto, si deve provvedere alle future madri in difficoltà economiche (o con problemi lavorativi) con norme sia di natura assistenziale, sia di natura giuslavoristica. Se non si permette l'eutanasia, ogni malato deve poter essere curato fino all'ultimo giorno nel pieno rispetto della sua dignità di uomo e deve poter avere accesso alle cure palliative. La distanza infinita che passa tra la lettera della Legge 194 e la pratica di tanti ospedali (per non parlare dello sconcio di molte cliniche private) è un esempio concreto di come non dovrebbe agire un Paese civile.
Senza serie e profonde politiche positive, i divieti sono ipocriti e disumani, mentre i cittadini sono derubricati a sudditi. Questo se lo ficchino bene in testa tutti, e dico tutti, i nostri politici. Ripeto quello che ho detto più volte anche in passato: mi fanno ridere i vari movimenti pro life che sfilano a favore della maternità ma non si battono mai per l'effettività del diritto al lavoro, ad una paga che permetta una sussistenza dignitosa, ecc..
Ad oggi, a quel che ne so, siamo a oltre 470 suicidi "per crisi" dal 2008.
Questa questione, a mio avviso, si pone in particolar modo per quanto attiene tutta la problematica del c.d. "utero in affitto". Se gli Stati, tutti gli Stati, non pensano come prima cosa a salvare le donne, tutte le donne, da situazioni di indigenza, solitudine, difficoltà, quello che è contrabbandato come un diritto (alla genitorialità, ma anche alla donazione della vita) rischia di trasformarsi in uno sfruttamento della persona (ricca) sulla persona (povera), nella più completa deprivazione - per quest'ultima - della propria dignità umana.
A me sembra che - solo se uno vuole ascoltare con attenzione - "suoni" molto differente per esempio il caso di chi, per amore, porti in grembo il figlio di una sorella che non può autonomamente portare a termine una gravidanza, dal caso di coloro che - pur meritando il massimo rispetto, avendo spesso alle spalle situazioni di dolore, via crucis mediche, ecc. - si limitano a rivolgersi ad agenzie specializzate (spesso in India, o comunque in Paesi con alti tassi di povertà), a pagare cifre esorbitanti e in ultima analisi ad utilizzare donne sconosciute come fossero incubatrici umane. In questo senso, per quello che la conosco, mi pare assai apprezzabile la legislazione greca.

3) La tecnica legislativa dovrebbe sempre essere di ottima qualità. In campi così delicati è però particolarmente indispensabile. Il rischio concreto, infatti, è che il legislatore - per ignoranza, o per malafede - lasci vuoti normativi o non metta a fuoco conseguenze sistematiche (spesso sotto il profilo della costituzionalità delle norme dal punto di vista dei criteri della ragionevolezza e dell'uguaglianza formale e sostanziale).
Il caso dei matrimonio omosessuali, con le conseguenze a catena in materia di adozione e in tema di pensioni di reversibilità, è un caso recente. Un altro caso è la lunga battaglia giurisprudenziale che si è abbattuta sulla Legge 40.
Cosa dovrebbe fare un politico accorto? Riflettere bene sul best case (o worst case, a seconda dei pre-giudizi di ciascuno) connesso alle disposizioni che propone o approva. Cosa comporta, direttamente o indirettamente, questa norma? Come si situa nel sistema normativo italiano? Come potrebbe essere interpretata dai giudici di merito e di legittimità?
Altrimenti, vi è il rischio di perseguire un fine e raggiungerne uno diametralmente opposto. Se questa eterogenesi è voluta, evidentemente si tratta di un caso clamoroso di fariseismo da parte di chi ha determinati obiettivi ma ne teme i risvolti in termini elettorali (il che, in una classe dirigente che ha propagandato l'Euro in termini scientificamente insostenibili, non è da escludere); se non è voluta, mostra nel migliore dei casi pressappochismo legislativo, nel peggiore impreparazione di fondo della classe politica (il che aprirebbe un discorso sull'importanza comparata della professionalità e della auto-attribuita onestà).
Non solo: pensare al worst case significa anche riflettere su come una legge, ancorché pensata con le migliori intenzioni, ancorché magari anche giusta, possa essere utilizzata per scopi poco nobili, quando non addirittura criminali, soprattutto in caso di modifiche - anche soltanto sostanziali e non formali - della forma di Stato. Ad esempio norme troppo lasche sull'eutanasia, soprattutto quella (che a me sgomenta) sui bambini, potrebbero essere invocate, in futuro, per forme di eugenetica? Quello che nella storia è già successo (sia in tempi remoti, sia in tempi più recenti), solo per questo può ripetersi.

4) Infine, una precisazione a latere. Tra i diritti civili costituzionalmente garantiti vi è anche, sia pure con tutte le limitazioni di cui all'art. 21, Cost. e di cui alle sentenze della Corte Costituzionale (chi è interessato, si prenda un buon libro di diritto costituzionale e se le legga), il diritto alla libera manifestazione del proprio pensiero.
Certe posizioni ci paiono disturbanti, o retrive, o troppo progressiste, ma ciò nonostante devono essere tutelate ed è intollerabile che chi le esprime sia oggetto di vilipendio, o di discredito sociale, o addirittura sia zittito con mezzi più o meno leciti.
Si tratta di un'ovvietà, un po' meno ovvia del previsto in tempi di fake news.

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