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domenica 26 febbraio 2017

Ancora sui controlli a distanza (Almaviva)

La filosofia si è a lungo interessata della differenza fra idea e azione. Qui, più modestamente, ne registriamo una singolare manifestazione.
La newsletter di venerdì scorso del Garante per la privacy ha ribadito che "il datore di lavoro non può accedere in maniera indiscriminata alla posta elettronica o ai dati personali contenuti negli smartphone in dotazione al personale", confermando così la propria interpretazione restrittiva del nuovo art. 4, Statuto dei Lavoratori (interpretazione che, detto per inciso, è più restrittiva anche di quella della CEDU: v. qui).
La pronuncia (molto ampia e motivata) appare particolarmente importante, poiché statuisce con chiarezza che il comportamento aziendale "risulta in contrasto con la disciplina di settore in materia di controlli a distanza (cfr. artt. 11, comma 1, lett. a) e 114 del Codice e art. 4, legge 20.5.1970, n. 300). Tale disciplina infatti, pure a seguito delle modifiche disposte con l'art. 23 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 151, non consente l'effettuazione di attività idonee a realizzare (anche indirettamente) il controllo massivo, prolungato e indiscriminato dell'attività del lavoratore (v. Linee guida per posta elettronica e internet..., spec. par. 4, 5.2. lett. b) e 6; Consiglio di Europa, Raccomandazione del 1 aprile 2015, CM/Rec(2015)5, spec. princ. 14). Inoltre il datore di lavoro, pur avendo la facoltà di verificare l'esatto adempimento della prestazione lavorativa ed il corretto utilizzo degli strumenti di lavoro da parte dei dipendenti, deve in ogni caso salvaguardarne la libertà e la dignità e, in applicazione dei principi di liceità e correttezza dei trattamenti di dati personali, informare in modo chiaro e dettagliato circa le consentite modalità di utilizzo degli strumenti aziendali e l'eventuale effettuazione di controlli anche su base individuale (v., tra gli altri, Provv. n. 139 del 7 aprile 2011, doc. web n. 1812154; Provv. n. 308 del 21.7.2011, doc. web n. 1829641; Provv. 23 dicembre 2010, doc. web n. 1786116). L'assenza di una esplicita policy al riguardo può determinare una legittima aspettativa del lavoratore, o di terzi, di confidenzialità rispetto ad alcune forme di comunicazione (cfr. Provv. n. 13 del 1° marzo 2007, Linee guida per posta elettronica e internet, doc. web n. 1387522, spec. 3; 5.2. lett. b), e 6.1.)".
Nel caso concreto, che riguarda la multinazionale Aon, l'azienda non ha adeguatamente informato i lavoratori sulle modalità e finalità di utilizzo degli strumenti elettronici in dotazione, né su quelle relative al trattamento dei dati, ha configurato il sistema di posta elettronica in modo da conservare copia di tutta la corrispondenza per ben dieci anni, ha realizzato una procedura che le consentiva di accedere al contenuto dei messaggi dei dipendenti (messaggi che, in linea con la policy aziendale, potevano avere anche carattere privato). Oltre a questo, dall'indagine del Garante "è inoltre emerso che la società continuava a mantenere attive le caselle e-mail fino a sei mesi dopo la cessazione del contratto, senza però dare agli ex dipendenti la possibilità di consultarle o, comunque, senza informare i mittenti che le lettere non sarebbero state visionate dai legittimi destinatari ma da altri soggetti. Nel corso dell'istruttoria è stato accertato inoltre, che  il titolare poteva accedere da remoto – non solo per attività di manutenzione – alle informazioni contenute negli smartphone in dotazione ai dipendenti (anche privatissime e non attinenti allo svolgimento dell'attività lavorativa), di copiarle o cancellarle, di comunicarle a terzi violando i principi di liceità, necessità, pertinenza e non eccedenza del trattamento".

Questa è l'idea. Il controllo massivo, prolungato e indiscriminato del lavoratore è sempre e comunque vietato dalla legge.

Cui non sempre corrisponde l'azione.
Il Sole 24 Ore ci rende oggi edotti sull'ultima trovata di Almaviva.
Per chi non lo sapesse, Almaviva è una multinazionale dei call center, a proprietà italiana, che gestisce 45.000 persone in tutto il mondo, di cui ben 13.000 nel Belpaese. Da noi ha 38 sedi, mentre all'estero ha aperto 21 filiali in Brasile, Stati Uniti, Cina, Colombia, Tunisia, Sudafrica, Romania, Belgio (a Bruxelles). La società è famosa essenzialmente per essere cresciuta con i contributi pubblici previsti dalla L. n. 407 del 1990 e dalla L. n. 388 del 2000 per le assunzioni in Regioni svantaggiate e per aver altresì utilizzato le più bizzarre forme occupazionali (partita IVA, lavoro a progetto, tutele crescenti ma solo fino a quando hanno permesso di godere dei noti incentivi). Prassi comune è mettere in CIG parte del personale, spostarlo di sede per godere dei benefici regionali per la formazione dei cassintegrati, richiedere straordinari a quelli rimasti a lavoro.
Grazie a questi - diciamo - escamotage si aggiudica grandi commesse (Wind, Telecom, Vodafone), o acquista concorrenti più piccoli (a Palermo, il concessionario di Alitalia). Quando un verbale dell'Ispettorato del lavoro impone alla società di stabilizzare 4.000 lavoratori assunti con contratti a progetto non corrispondenti alle norme della Legge Biagi, Cesare Damiano (Ministro del lavoro nel Governo Prodi) inserisce nella Finanziaria per il 2007 una codicillo ad hoc, che permette ai sindacati di firmare un patto scellerato: assunzioni contro rinuncia alle proprie spettanze. Con la firma di una liberatoria i neoassunti rinunciarono infatti a tutto il pregresso, ottenendo in cambio un contratto a tempo indeterminato part-time a 20 ore settimanali, con una retribuzione di circa 8.000 Euro l’anno. Almaviva - per non farsi mancare nulla - sostanzialmente si ripaga, sempre con gli incentivi della L. n. 407.
Tuttora, l'art. 2, c. 2, lett. a), D. Lgs. n. 81 del 2015 (uno dei decreti del Jobs Act) prevede che le limitazioni all'utilizzo delle co.co.co. non si applichino "alle collaborazioni per le quali gli accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore" (unico caso concreto, proprio i call center).
La società, lo scorso autunno, si è accorta di aver subito una significativa riduzione di fatturato, a vantaggio di "attività delocalizzate in aree extra-UE" (il che suona abbastanza peculiare, detto da chi da più di dieci anni gestisce call center in Tunisia a 3 Euro all'ora, anche per Telecom). Pertanto, ha deciso di licenziare in tronco tutti i dipendenti delle sedi di Roma e Napoli, nonché di deportare quelli di Palermo (rei di aver perduto una commessa Enel) in provincia di Cosenza. A fine anno si sciolgono i nodi: a Roma quasi 1.700 dipendenti non accettano le condizioni di Almaviva e sono licenziati, a Palermo i lavoratori sono "ceduti" ad altra società, con l'intesa dell'assunzione a tempo indeterminato ma senza scatti di anzianità, mentre a Napoli l'azienda riesce a far passare le proprie proposte (tra cui una riduzione drastica degli stipendi).
Ora, la società su Napoli rilancia (sulla base del motto: "ci è andata bene una volta, proviamo di nuovo"; l'accordo, già approvato dai sindacati, deve ora essere sottoposto a referendum). Così Il Sole: "Almaviva a Napoli scommette sulla produttività e sulla qualità del servizio alla clientela, con il ricorso ai controlli a distanza e con il potenziamento della formazione".
Oltre a ribadire tagli di stipendio (in una realtà, tra l'altro, in cui gli occupati erano stati inquadrati ad un livello inferiore rispetto che negli altri call center... a proposito: qui Almaviva ha preso contributi, oltre che dallo Stato, anche dalla Regione), congelamento degli scatti di anzianità, riduzione della base di calcolo del TFR, oltre che la sempreverde Cassa Integrazione, ecco l'innovazione.
L'azienda prevede di "ricorrere a strumenti di misurazione della produttività e della qualità, nel rispetto dell'art. 4 dello Statuto dei lavoratori... I risultati della misurazione saranno visibili in tempo reale per non più del 60% delle ore lavorate settimanalmente. L'accesso alle informazioni sarà consentito al lavoratore, esclusi gli altri addetti appartenenti al suo team, che avranno invece la possibilità di verificare la produttività media...". In questo modo la guerra fra poveri, lo spasmodico tentativo di emergere a scapito dell'altro, eventualmente la delazione, entrano a pieno titolo nel diritto del lavoro italiano. Peggio del lavoratore del mese dei fast food.
"Le informazioni saranno accessibili, oltre che al lavoratore, a una figura di staff, ma non al responsabile gerarchico diretto. La scelta si spiega con l'obiettivo delle informazioni, utilizzabili per guadagnare produttività, mettendo al bando ogni tentazione disciplinare. L'accordo lo specifica: i dati sono off-limits per fini disciplinari e anche per definire avanzamenti di carriera", avendo soltanto lo "scopo di individuare aree di miglioramento nelle performance lavorative, anche attraverso percorsi di formazione". Sì, bravi, raccontatelo a un altro.

Questa è la pratica. Ti controllo minuto per minuto, ti schedo, elaboro statistiche individuali e per commessa. Poi tanto le uso solo per programmare la formazione. Certo, tangenzialmente faccio in modo che i tuoi colleghi, se sono un minimo furbi, capiscano chi è l'anello debole della catena, e si regolino di conseguenza, ma questa è - come dicono quelli che hanno studiato - una esternalità negativa (o positiva, boh).

In una situazione come questa, ci dovremmo preoccupare se - nell'alfabeto della politica - la D venga prima della P, o viceversa.


P.S.: Aggiungo un'ultima considerazione. L'azienda che si comporta in questo modo - delocalizzazione, utilizzo opportunistico di norme agevolative, frode vera e propria stando al verbale dell'ispettorato, controllo a distanza, e così via - gestisce quasi tutti i call center delle grandi aziende in mano pubblica (o comunque partecipate dallo Stato italiano).
A me pare, quanto meno, connivenza.


(Clienti di AlmavivA Contact - fonte: sito AlmavivA).

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