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domenica 28 agosto 2016

Esopo spiega presente e futuro dell'UE

Χερσαιος μυς μακη μοιρα βατραχω εφιλιωθη. Ο δε βατραχος κακως βουλευσαμενος τον ποδα του μυος τω εαυτου ποδι συνεδησε. Και πρωτον μεν επι της χωρας ηλθον σιτον δειπνησοντες επειτα δε τω χειλει της λιμνης πλησιαντες, ο μεν βατραχος τον μυν εις το βαθος κατηγεν, αυτον βρυαζων τω υδατι και το βρεκεκεκεξ ανακραζων. Ο δε αθλιος μυς τω υδατι φυσηθΘεις ετεθνηκει· επεπλει δε τω ποδι του βατραχου συνδεδεμενος. Ικτινος δε τουτον ιδων τοις ονυξιν ηρπασεν· βατραχος δε δεσμωτης επηκολουθει, δειπνον και αυτος τω ικτινω γενομενος. Οτι, καν νεκρος η τις ισχυει προς αμυναν η γαρ θεια δικη εφορα παντα και το ισον αποδιδωσι ζυγοστατουσα.

Traduco per chi ritiene che la scuola serva solo per addestrare al lavoro ed i licei durino anche troppo (con gli altri mi scuso per non saper mettere gli accenti sulle lettere greche).
Un topo di terra, per cattiva sorte, aveva fatto amicizia con una rana. La rana, malintenzionata, legò il piede del topo al proprio. Dapprima se ne andarono sulla terra per mangiar grano; successivamente, avvicinatisi al bordo di uno stagno, la rana trascinò dentro verso il fondo il topo, mentre essa sguazzava nell'acqua e gracidava. Invece il topo, sventurato, morì annegato; tuttavia galleggiava, perché era legato al piede della rana. Dunque un nibbio, quando lo vide, lo afferrò con gli artigli: la rana, legata, gli tenne dietro, divenuta anch'ella pasto per il nibbio. Anche se uno è morto, ha la possibilità di vendicarsi: la giustizia divina vede ogni cosa e restituisce, per ricompensa, pan per focaccia.

venerdì 19 agosto 2016

Montepaschi #4 (se sbaglio mi corrigerete)

Chiedo spiegazioni. Ogni chiarimento nei commenti sarà ben accetto e anzi benedetto. Io alzo bandiera bianca.

Atlante 2 ha in cassa circa 700 milioni di Euro da parte di soggetti ricollegabili al perimetro pubblico (SGA e CDP). Per rispettare i vincoli onde non rientrare nella disciplina degli Aiuti di Stato, è pertanto necessario che raccolga somme per complessivi 3 miliardi e mezzo di Euro. Che è infatti il target del fondo da qui a luglio 2017. Ora siamo a un miliardo e 700 milioni: dei 700 milioni si è già detto, mentre il miliardo è una rimanenza del glorioso Atlante 1.
Qualcuno ha ironizzato sulla manina pubblica al liberista Penati. Ma noi non cadiamo in queste trappole di cattivo gusto.
Dove trovare, quindi, i soldi? Le Casse professionali si sono, giustamente, smarcate, anche se io credo che Matteo un ultimo tentativo proverà a farlo: privatizzazione e abbandono di ogni velleità di liberalizzazione delle professioni a fronte di qualche soldo buttato sul falò degli NPL di Montepaschi. La delega inserita nel c.d. Jobs Act del lavoro autonomo, che intende devolvere ad avvocati, notai, architetti e ingegneri importanti funzioni pubbliche in materia di contenzioso e di edifici mi pare vada in questo senso. Dal settore assicurativo non arrivano chissà quali cifre e i nomi che circolano sono sempre gli stessi (Generali, attualmente in altre faccende affaccendata, Unipol).
Tra l'altro, quello che ha racimolato finora Atlante 2 lo ha già speso, impegnandosi a sottoscrivere la tranche mezzanine degli NPL di Montepaschi; i soldi per ripetere l'operazione con Veneto Banca e Popolare di Vicenza proprio non ci sono.
E dunque? Davvero il governo pensa di coinvolgere investitori stranieri in un progetto in cui si acquistano sofferenze - valutate dal mercato 20c - addirittura a 33c, soltanto perché Mps garantisce a Atlante il 7% del capitale dopo l'aumento in warrant?

L'allucinante progetto del management di Montepaschi prevede l'attribuzione ai soci - mediante costituzione e immediata riduzione di una riserva sovrapprezzo azioni; in sostanza: tramite i soldi messi con l'aumento di capitale - di un diritto di opzione sulle junior notes rivenienti dalla cartolarizzazione delle sofferenze. Lo strumento in cui è incorporata l'opzione potrebbe anche essere quotato. Io una cosa del genere non l'avevo mai sentita e mi lascia perplesso, ma sicuramente l'ignoranza è mia: vedremo se funziona.
Dunque, se ho capito bene, di 5 miliardi di Euro di aumento di capitale, 1 serve per coprire il differenziale di prezzo fra il valore di bilancio degli NPL netti e il prezzo di cessione dei medesimi e un altro miliardo e mezzo per tappare il buco che si aprirà nel veicolo di cartolarizzazione, una volta passata agli azionisti della Banca la tranche più rischiosa dei nuovi bond.
Se ho capito male, di nuovo chiedo lumi. E non per artificio retorico.
Se però le cose stanno così, siamo sicuri che - nonostante l'apertura della BCE rispetto alla sterilizzazione della "ricalibrazione delle serie storiche" - i 5 miliardi previsti dal C.d.A. di Montepaschi siano davvero sufficienti per il rispetto dei requisiti patrimoniali imposti dalla BCE, soprattutto in un contesto di tassi bassi (e dunque, infimi ricavi) come quello attuale?
E ancora: in attesa di leggere il piano industriale che sarà presentato il mese prossimo, davvero si troveranno investitori vogliosi di mettere così tanti soldi su una banca piena di problemi come Mps, oppure si assisterà alla triste riedizione degli aumenti delle popolari venete? Tra l'altro, tra i 5 gli 8 miliardi devono essere cacciati anche per Unicredit.
Certo, c'è il consorzio di garanzia, ma quale sia il suo perimetro di intervento non è stato reso di pubblico dominio (per ora siamo solo a un pre-accordo). Presumo abbastanza ampio, viste le commissioni richieste da JP Morgan (per l’aumento di capitale sono 230 milioni di Euro; per la costituzione del veicolo che compra le sofferenze 50 circa; poi c'è il prestito ponte in attesa della GACS, che se è usato per sei mesi fanno 150 milioni tra interessi e commissione up-front, se no molto di più; insomma 500 milioncini tranquilli tranquilli). JP Morgan che, badate bene, ci guadagna in ogni caso, perché a garanzia dell'operazione saranno poste le stesse sofferenze acquistate da Atlante, valutate però non a 33, ma a 18: se il veicolo che le cartolarizzerà fallisse, in sostanza, la banca americana risparmierebbe, subito subito, quasi un miliardo e 400 milioni di Euro).

Infine un'ultima questione, a cui pochi pensano, ma che è invece molto importante.
Atlante 2, che compra crediti in sofferenza a prezzi stratosferici, deve comunque garantire qualche ritorno ai propri azionisti (che, ricordiamolo, sono altri soggetti finanziari, i quali non si possono permettere di perdere troppo denaro dall'operazione). A tal fine, bisogna che chi gestirà le procedure di recupero entri velocemente in possesso e venda al meglio i beni posti a garanzia del prestito.
Circa il 70% delle sofferenze bancarie italiane è nei confronti di imprese e, pertanto, le famose "garanzie" degli NPL sono capannoni, macchinari, o beni personali dell’imprenditore.
D'altronde, le quotazioni degli immobili in generale e di quelli industriali in particolare continuano a non mostrare alcun segno di ripresa.
La domanda è allora abbastanza scontata: il salvataggio delle banche, si tradurrà in una ondata di pignoramenti e aste che soffocheranno ancor di più l'economia italiana, comportando la chiusura di altre imprese e un deprezzamento ulteriore degli immobili?

Entro fine anno vedremo. Per ora la fiducia regna sovrana.

(Io per sicurezza me ne vado una settimana in vacanza...).

giovedì 18 agosto 2016

Niente gufi. Tutti più (c)ottimisti!

Per lungo tempo l'interpretazione tradizionale della rivoluzione industriale ha insistito sul suo carattere di frattura epocale nella storia della civiltà umana. Era questo l'aspetto saliente e comune sia nelle versioni marxiste... sia nelle versioni "scientiste"..., sia nelle versioni macroeconomiche che ricostruivano l'evoluzione degli indicatori statistici generali... Le ricerche più recenti hanno invece messo in discussione la discontinuità, elaborando una versione "continuista" dello sviluppo economico inglese... Nicholas Crafts... ha... ridimensionato l'aumento del reddito nazionale e degli investimenti e ricostruendo una dinamica dello sviluppo più lenta, lungo tutto il mezzo secolo compreso tra il 1780 e il 1830. In parallelo a questa visione continuista era stato proposto... il concetto di "proto-industrializzazione" per indicare un fenomeno... definito dalla presenza di: 1) una parte cospicua della forza-lavoro agricola che integra il lavoro nei campi con attività manifatturiere... svolte a domicilio con macchine fornite da un mercante-imprenditore...; 3) un'economia monetaria che consenta ai proprietari di acquistare materie prime e fornirle ai lavoratori agricoli in grado di trasformarle... Questa... non è in sostanza che una ridefinizione del fenomeno dell'industria a domicilio. Tra i molti studi sull'argomento, si segnala quello di tre storici tedeschi, P. Kriedte, H. Medick, J. Schlumbohm... Medick in particolare afferma il ruolo cruciale svolto dalla famiglia contadina nello sviluppo del capitalismo moderno proprio grazie ai suoi comportamenti pre-capitalistici: attraverso il lavoro a domicilio essa mira alla sussistenza anziché a un guadagno in moneta, consentendo al mercante-imprenditore di risparmiare sui costi e sui rischi del suo investimento... (Detti, Storia contemporanea, L'ottocento, Milano, 2000, pp. 35-36; enfatizzazioni mie).
Certo, il lavoro a domicilio è continuato ad esistere fino ai giorni nostri, sia pure limitato ad alcune specifiche sacche del manifatturiero, soprattutto in ambito tessile. In mancanza di indicazioni codicistiche specifiche (art. 2128, c.c.), la L. n. 877 del 1973 dispone norme ad hoc e definisce lavoratore a domicilio "chiunque, con vincolo di subordinazione, esegue nel proprio domicilio o in locale di cui abbia disponibilità, anche con l’aiuto accessorio di membri della famiglia conviventi e a carico, ma con esclusione di manodopera salariata e di apprendisti, lavoro retribuito per conto di uno o più imprenditori, utilizzando materie prime o accessorie e attrezzature proprie o dello stesso imprenditore, anche se fornite per il tramite di terzi". Si ha "vincolo di subordinazione", "in deroga a quanto stabilito dall'art. 2094 del c.c...., quando il lavoratore a domicilio è tenuto ad osservare le direttive dell’imprenditore circa le modalità di esecuzione, le caratteristiche e i requisiti del lavoro da svolgere nella esecuzione parziale, nel completamento o nell'intera lavorazione di prodotti oggetto dell'attività dell’imprenditore committente".
Il problema della subordinazione, o - se si vuole - della parificazione del lavoratore a domicilio e del lavoratore interno alla azienda, è costante nella giurisprudenza e nell'evoluzione legislativa. Così, l'art. 2 della L. n. 877 - ai sensi della quale è "fatto divieto alle aziende interessate da programmi di ristrutturazione, riorganizzazione e di conversione che abbiano comportato licenziamenti o sospensioni dal lavoro, di affidare lavoro a domicilio per la durata di un anno rispettivamente dall'ultimo provvedimento di licenziamento e dalla cessazione delle sospensioni" - è stato spesso aggirato dalla contrattazione collettiva, tesa per lo più a parificare il lavoratore in azienda da quello fuori azienda. La giurisprudenza ha inoltre dovuto faticare ad applicare (quando c'era) l'art. 18, agganciandone l'operatività alla dimostrazione caso per caso "di una qualificata e ragionevole continuatività delle prestazioni lavorative". La stessa impostazione, assai poco tutelante, si è riscontrata rispetto al riconoscimento dell'indennità di mobilità (v. le Sezioni Unite n. 106 del 2001). Col bel risultato di creare un lavoratore a domicilio "continuativo" e uno "precario".
Da altro punto di vista, la retribuzione dei lavoratori a domicilio non può che essere evidentemente calcolata con il metodo del cottimo pieno (art. 8), con riferimento, per la sua concreta determinazione, a quanto disposto dai contratti collettivi di categoria; generalmente essa viene fissata sulla scorta del concetto di normale capacità lavorativa ad eseguire i lavori oggetto della commessa. Si tratta comunque di dati indicativi, riconoscendosi la possibilità per il lavoratore a domicilio di chiedere al giudice l'adeguamento o, in mancanza, la determinazione della retribuzione ex art. 36 Cost. (v. p.e. le Sezioni Unite, sent. n. 828 del 1982).
Il lavoro a domicilio e il cottimo, due istituti inscindibilmente collegati che, si pensava, fossero il retaggio di un mondo passato.
Il cottimo è obbligatorio quanto la valutazione della prestazione è fatta in base al risultato delle misurazioni dei tempi di lavorazione, quando cioè si procede preventivamente... all'accertamento del tempo necessario al lavoratore medio per compiere l'operazione commessagli... La legge fa... riferimento ai sistemi... d'organizzazione scientifica del lavoro...; sistemi la cui finalità è quella di congegnare le lavorazioni in modo da razionalizzare al massimo lo sfruttamento della forza lavoro, con la più alta intensità possibile e con la massima resa, tutto calcolando scientificamente in termini di tempo e di sforzo fisico e psichico (e da qui il dramma della condizione operaia, nella sistematica denuncia dei ritmi ossessivi di lavoro ripetitivo, usurante ed alienante nelle condizioni della società industrializzata...). Coerentemente, per legge, quando le lavorazioni sono così congegnate..., quando tutto è preordinato in ragione del risultato, deve adottarsi il sistema del cottimo... (Pera, Diritto del lavoro, Padova, 1996, pp. 490-491, enfatizzazioni mie).
Il prof. Pera cita Chaplin e Clair. Io aggiungerei Petri.



Tutto questo mi è tornato in mente l'altro giorno, mentre leggevo come, zitto zitto quatto quatto, sta procedendo in Parlamento il disegno di legge relativo a "Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e [a] misure volte a favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato" (il dossier completo è qui).
Il testo, nel consueto stile italico (ma che - in questo caso - ha anche ragioni profonde), è la risultante della somma di due leggi distinte e di una delega (divisa, chissà perché, in tre articoli):
- gli artt. 5, 6 e 10 che delegano il governo a rimettere mano al mondo delle professioni, attribuendo alcune funzioni pubbliche direttamente agli iscritti in determinati albi (avvocati, notai, architetti, ingegneri), istituendo per il tramite delle Casse degli stessi professionisti forme di sostegno al reddito, riducendo gli obblighi in materia di sicurezza sul lavoro per i titolari di studi;
- il capo I, che reca norme a tutela dei lavoratori autonomi, soprattutto quelli con unico committente, relativamente ai tempi di pagamento delle fatture, al recesso o allo ius poenitendi della controparte, alla formazione, alle tutele assistenziali e previdenziali, all'accesso agli appalti pubblici (artt. 1, 2, 3, 4, 7, 8, 9, 12, 13);
- il capo II, che attiene al c.d. "lavoro agile" (artt. da 15 a 20).

Ecco, il "lavoro agile" o, per chi non sa l'inglese, lo smart working. Cioè, in buona sostanza, il vecchio lavoro a domicilio, un po' imbellettato per renderlo meno impresentabile, traslato - grazie allo sviluppo dell'informatica - dal mondo della manifattura a quello dei servizi. E visto che, nel caso di specie, il cottimo non si può applicare, si utilizzeranno allo stesso fine i bonus variabili, che fanno tanto multinazionale anglosassone e sono pure detassati.
Non si tratta [in sostanza] di un sotto-tipo (acrobatico o circense) del lavoro autonomo né del lavoro parasubordinato, [ma soltanto] di un alto modo per chiamare il telelavoro subordinato (prof. Oronzo Mazzotta).
Secondo il nostro illuminato governo, infatti, il "lavoro agile" è una "modalità flessibile di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato, allo scopo di incrementarne la produttività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro", che si svolge "in parte all'interno di locali aziendali e in parte all'esterno", "entro i soli limiti di durata massima dell'orario di lavoro giornaliero e settimanale..." e "assenza di una postazione fissa durante i periodi di lavoro svolti all'esterno dei locali aziendali".
Quale dei due obiettivi sia realistico, e quale invece rappresenti una foglia di fico buona per i gonzi di tutti gli orientamenti, non c'è neppure bisogno di scriverlo. Noto soltanto che Matteo e i suoi sodali ci vogliono talmente bene che, pur di farci conciliare i tempi di vita (molti) con quelli di lavoro (pochi), non solo ci sbattono fuori dall'ufficio, ma già che ci sono ci demansionano anche. Mi immagino già la scena: "sì, sai, mi hanno tolto la scrivania e messo a fare il centralinista da casa, così almeno ho molto più tempo per perfezionare il draw alla buca otto".
Per essere certi che il dipendente concili al meglio, "l'accordo relativo alla modalità di lavoro agile disciplina [anche] l'esercizio del potere di controllo del datore di lavoro sulla prestazione resa dal lavoratore all'esterno dei locali aziendali nel rispetto di quanto disposto dall'articolo 4" dello Statuto dei Lavoratori.
Ora, come si sa il diavolo si nasconde nei dettagli. Si dà infatti il caso che il sullodato Matteo quell'articolo lo abbia cambiato col Jobs Act (quello delle due ore di sciopero da parte dei sindacati italiani), permettendo il controllo a distanza dei dipendenti attraverso gli "strumenti utilizzati... per rendere la prestazione lavorativa" e, anzi, precisando addirittura come "le informazioni raccolte... siano utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro...". Ricordo, per gli ingenui, che i telefonini hanno un geolocalizzatore, che gli accessi a internet possono essere tracciati, che - al limite - i portatili hanno spesso una webcam integrata. Per dire.
Trattandosi di un governo di sinistra, ha ritenuto opportuno precisare che al lavoratore che si comporta bene deve essere riconosciuto "un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato nei confronti dei lavoratori che svolgono le medesime mansioni esclusivamente all'interno dell'azienda". Quei due aggettivi e quell'avverbio, nella medesima frase, mi fanno rizzare i peli sugli avambracci.
Tanto più che, a mo' di ciliegina sulla torta, "i contratti collettivi, di cui all'articolo 51 del D. Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, possono introdurre ulteriori previsioni finalizzate ad agevolare i lavoratori e le imprese che intendono utilizzare la modalità di lavoro agile". Cioè tutti i contratti. Anche quelli territoriali. Anche quelli aziendali.
L'esame in commissione ha migliorato, di molto il testo (è sparito il riferimento ai contratti collettivi, è stato eliminato il riferimento alla flessibilità, sono stati espunti alcuni assurdi obblighi di protezione dei dati trattati posti in capo al lavoratore, e così via), ma nel complesso il senso del provvedimento non cambia.
Ecco che, allora, prende senso anche l'introduzione di queste disposizioni all'interno del testo in commento: il lavoro autonomo - in un contesto economico di partite Iva che sono in realtà dipendenti mascherati - assume qualche colorazione (e minima tutela) del lavoro subordinato, senza che da tale involuzione siano esclusi i professionisti iscritti ad albi, per i quali infatti si sente la necessità - nella delega - di inserire alcune sconnesse previsioni di stampo previdenziali e assistenziale; il lavoro subordinato, flessibilizzato, decontestualizzato, privato di molti dei suoi tradizionali diritti, si avvicina all'autonomo, anche - se non soprattutto - per la sempre maggiore espulsione del dipendente dal contesto aziendale.
Per dirla in altri termini...
Non sono mancati, anche in passato, i corifei del governo. Il Foglio: "più che un modo per superare i limiti del telelavoro (che non è mai decollato) [il lavoro agile] è un’opportunità di rivedere l’approccio al lavoro. È necessario indubbiamente... uno sforzo ulteriore innanzitutto agli attori del sistema di relazioni industriali, cui spetta il compito fondamentale di compiere un salto culturale e metodologico di approccio al lavoro che di certo non è nella disponibilità del legislatore”. E quale sarebbe questo nuovo approccio? Lo scopriamo grazie al Corriere: "il lavoro agile ha poco a che fare con il vecchio telelavoro. Il punto non è se si lavori da casa, dall'azienda o da qualunque altro posto. Il punto è che ciascun dipendente viene valutato per i risultati che porta. Indipendentemente da quanto e da dove lavora".
Io ci ho anche lo slogan. "Lavoro agile: tutti più (c)ottimisti".
Ce l'ho anche per altre forme di lavoro molto moderne: invece che #lavoltabuona, #stavoltaèunbuono. Da utilizzarsi, ovviamente, nel caso in cui si abbia un datore di lavoro un po' arcaico e paternalista, che usa i voucher, oppure uno più moderno e sfidante, che paga direttamente in buoni pasto (essendo, magari, un supermercato).
Di questo, al solito, i sindacati non sembrano preoccupati.
Forse, col tempo, hanno cambiato mestiere.

mercoledì 10 agosto 2016

Deutsche Bank balla sul baratro

Qui di seguito riporto la traduzione di un interessante articolo di Zerohedge, di cui parla anche Il Sole 24 ore (in questo pezzo a pagamento). Entrambi fanno riferimento a questa ricerca. Il problema della maggiore "benevolenza" degli stress test europei rispetto a quelli statunitensi, a favore essenzialmente degli istituti che svolgono in modo significativo attività di investment banking (ops...), era peraltro già stata lamentata rispetto all'esercizio 2014.


Deutsche Bank si trova inaspettatamente ad avere un'enorme mancanza di capitale, maggiore della sua intera capitalizzazione di mercato.

Dopo che la BCE ha concluso il suo ultimo stress test annuale e, come previsto, non ha rilevato problemi nelle banche più grandi d'Europa, individuando piuttosto un capro espiatorio nelle banche italiane in difficoltà, ieri è giunto un risultato inaspettato dall'istituto tedesco di ricerca economica ZEW, secondo cui la più grande banca tedesca, Deutsche Bank, mostra il più alto deficit di capitale potenziale, pari a 19 miliardi di Euro, su un campione di 51 banche europee. ZEW ha utilizzato i metodi con cui la Federal Reserve statunitense porta avanti gli stress test. Il capitale mancante di DB è superiore all'intera capitalizzazione di borsa della Banca.
Utilizzando l'approccio della Fed, molto più credibile di quello proposto dalla BCE, le 51 banche europee hanno mostrato un deficit di capitale totale di 123 miliardi di Euro: gli Istituti messi peggio sono Deutsche Bank, quindi Société Générale (13 miliardi) e BNP Paribas (10 miliardi), [cioè le maggiori banche tedesche e francesi: N.d.t.].
"Le banche europee non hanno capitale sufficiente per compensare le perdite previste nel caso di un'altra crisi finanziaria", ha detto in una dichiarazione a Reuters, martedì scorso, il professor Sascha Steffen, che ha lavorato con i ricercatori della New York University Stern School of Business e dell'Università di Losanna per l'esecuzione degli stress test utilizzati dalla Fed nel 2016 e dall'Autorità bancaria nel 2014, onde confrontare esigenze di capitale e leva finanziaria.
Ma mentre Société Générale e BNP hanno capitalizzazione di mercato rispettivamente di 26 miliardi di Euro e di 55 miliardi di Euro, ben al di sopra rispetto al gap teorico di patrimonializzazione che emerge dallo studio, Deutsche Bank si troverebbe in difficoltà se il calcolo dell'istituto ZEW fosse corretto, avendo una capitalizzazione di mercato inferiore a 17 miliardi di Euro.
Ed è per questo che, prontamente, l'Istituto ha contestato il calcolo di ZEW. "C'è uno stress test ufficiale dell'EBA che verifica l'adeguatezza di capitale in condizioni molto difficili e avverse, e questo test ha mostrato che non vi è alcuna necessità di capitale ulteriore per Deutsche Bank", ha scritto la banca in una nota di risposta allo studio.
Deutsche Bank ha mostrato una posizione più debole nel test EBA rispetto a quella della maggior dei suoi concorrenti, segno che la più grande banca tedesca ha ancora molta strada da fare sul percorso di rinnovamento che ha iniziato a intraprendere lo scorso anno. Certo, gli stress test hanno descritto un settore bancario sostanzialmente sano con i risultati pubblicati il 29 luglio scorso, ma mostrano anche come ci sia ancora tanto lavoro da fare.
I test EBA, peraltro, non proponevamo pagelle, per cui molti osservatori hanno detto di non ritenere superate le preoccupazioni sull'adeguatezza in termini di capitale degli Istituti. "Gli Stati Uniti hanno tirato le proprie conclusioni e implementato misure globali per la ricapitalizzazione del proprio settore bancario americano già nel 2008", ha dichiarato Steffen. "La mancanza di una volontà politica ha fatto sì che questo non sia ancora avvenuto in Europa", ha aggiunto.
Aggiungendo al danno la beffa, Martin Hellwig, direttore del Max Planck Institute per la ricerca sui beni collettivi, ha detto che gli stress test effettuati dalla Banca centrale europea hanno rivelato come Deutsche Bank, nel caso di una nuova crisi finanziaria, si troverebbe in una posizione molto precaria, e ha avvertito che la più grande banca tedesca è sull'orlo di una crisi e che l'unico modo per proteggerla contro shock futuri è quello di nazionalizzarla.
Anche se probabilmente non finirà dritta dritta in fallimento, la banca, che è cruciale per l'economia tedesca, si troverà sicuramente ad affrontare problemi gravi in termini di patrimonializzazione. Ha detto Hellwig: "per farla breve: in caso di lunga e grave crisi, semplicemente non ci sono abbastanza soldi. Riportare le banche sotto il controllo della comunità attraverso fondi pubblici non solo è possibile, ma anche necessario Se una banca non è più in grado di far da sola, il governo federale dovrebbe acquisirne le azioni ed esercitare le relative funzioni di controllo. In Svezia lo Stato è intervenuto nel 1992, staccando i rami di azienda non redditizi e lasciando quelli stabili.Si è trattato di una nazionalizzazione temporanea di successo. L'obiettivo era sempre quello di consentire un'operazione di pulizia per poi uscire di nuovo". Sempre secondo Hellwig, sebbene la nazionalizzazione non sia stato parte del piano di risanamento della Germania a seguito dell'ultima crisi finanziaria, scenari imprevedibili a volte richiedono misure disperate, che sarebbero opportune per le banche, visto che tanta parte dell'economia dipende interamente da loro.
Hellwig ha altresì dichiarato: "Suppongo che questo strumento possa essere utilizzato quando si tratti di un Istituto per il quale una procedura di risoluzione comporti a significativi danni al sistema complessivo". Le banche che sono "troppo grandi per fallire" potrebbero essere salvate con soldi a carico della fiscalità generale, e l'investimento potrebbe anche portare un ritorno economico per lo Stato.
Un altro possibile effetto dell'intervento statale sarebbe una inevitabile modernizzazione, che migliorerebbe le banche che hanno visto le proprie divisioni retail diventare poco redditizie. Per Hellwig, "dal di fuori si ha l'impressione che negli ultimi 20 anni i banchieri di investimento abbiano controllato la banca spremendola fino al midollo. La nazionalizzazione, in casi di emergenza, potrebbe essere un passo verso una maggiore razionalità nel mondo bancario".
Considerando che DB continua a scambiare non molto lontana dai suoi minimi storici, il mercato sembra essere molto più d'accordo con la visione dell'Istituto ZEW che con la BCE, e certamente le preoccupazioni per la solvibilità di DB sono destinate a permanere.

lunedì 8 agosto 2016

Fate tardi! (Montepaschi #3)

Non mi dilungo particolarmente in merito al fatto che il così detto "piano di salvataggio" di Montepaschi, l'opzione "di mercato", in realtà non solo non salverà alcunché, ma neppure può essere definita di mercato.
Se infatti Il Sole 24 Ore, una volta tanto, la racconta giusta, pare che ad Atlante II contribuiscano per 750 milioni la Cassa Depositi e Prestiti e la SGA (cioè la società, ora pubblica, che ha curato il recupero dei crediti inesigibili del Banco di Napoli, una antesignana delle attuali bad bank che, fra l'altro, negli ultimi anni ha guadagnato un bel po' di quattrini), mentre mezzo miliardo potrebbe venire dai soliti noti, cioè Intesa, Unicredit (che, peraltro, qualche problemino in proprio ce lo ha) e Generali. Anche aggiungendo un miliardo non speso da Atlante I, la quota di quattrini "pubblici" o "para-pubblici" nel fondo è ben al di sopra del massimo consentito (in sostanza, il 20% del totale del fondo, mentre qui siamo a circa un terzo).
Tra l'altro, per arrivare al minimo sindacale necessario per acquistare gli NPL di Montepaschi, manca secondo me un altro miliardo (sebbene i gestori di Atlante abbiano ufficialmente affermato il contrario). Il fatto che, per ora, le Casse di previdenza si siano smarcate dall'operazione in effetti non aiuta (faccio un'ipotesi: io credo che alla fine aderiranno. Come Esaù, si venderanno chiedendo in cambio che siano accantonate le minacce di liberalizzazione di certi settori - punto tanto caro alla BCE ai tempi della letterina a Berlusconi - e che siano completamente privatizzate, in modo da permettere stipendi faraonici ai simpaticoni che le presiedono).
Che poi ci sia un qualche istituto di rating pronto a certificare che più dei due terzi delle sofferenze del Monte possano essere cartolarizzate con la garanzia della GACS, penso serpeggi più di un dubbio. Se così non fosse, ovviamente, anche il prezzo di acquisto degli NPL ventilato sui giornali in questi giorni subirebbe un brusco ridimensionamento.
Poi, una volta sistemata questa operazione, dovrebbe scattare - a fine anno, diciamo - l'aumento di capitale, praticamente una barzelletta. Se infatti non fosse tragico, sarebbe sicuramente comico pensare che ci siano investitori pronti a mettere cinque miliardi in una banca che (pur con molti NPL in meno) certo non ha risolto i suoi problemi (che, ribadiamolo, sono problemi soprattutto di redditività). Il cerino resterà in mano al consorzio di garanzia - Mediobanca, J.P. Morgan, Bank of America Merrill Lynch, Citi, Credit Suisse, Deutsche Bank, Goldman Sachs e Santander - che però, per il momento, non si è impegnato in modo definitivo a sottoscrivere le nuove azioni.
Guarda caso.
Oppure, e secondo me è assai più probabile, resterà i mano a soci e obbligazionisti subordinati della banca, che esploderà in faccia a Renzi o a chi ci sarà, allora, al posto suo. Con buona pace del signore qui accanto (da  Milano Finanza), e delle sue sicurezze.
In ogni caso, il puzzo dell'ammuina si sente lontano un chilometro.
Per chi non ci credesse, rimando a questo ottimo articolo - documentato, chiaro, esaustivo - di Palombi sul Fatto Quotidiano.
Poi c'è lo psicodramma Unicredit che, come si sa, non ha sostanzialmente passato gli ultimi stress test nel caso di "scenario avverso".
La Banca deve fare un aumento di capitale molto significativo, di 5 miliardi (se si presume un tasso di coverage degli NPL al 67% e degli altri crediti problematici al 40%, come per Montepaschi) o - assai più probabilmente - di 7 miliardi (con coverage degli NPL a poco meno dell'80% e degli altri crediti problematici oltre il 30%, che sono gli standard di mercato al momento).
Questi soldi, insomma, servono.
Ma l'aumento non si fa subito. Si aspetta gennaio o febbraio prossimi, addirittura dopo Mps.
Perché?
La versione ufficiale è che l'esatto ammontare dell'aumento possa essere stimato soltanto dopo la cessione di alcuni gioielli della corona, Pekao (secondo gruppo bancario polacco) e Fineco (banca multicanale con una solida rete di promotori finanziari), la quotazione in borsa di Pioneer (società di asset management che doveva essere fusa con la sua omologa controllata da Santander, prima che tutta l'operazione finisse inopinatamente in vacca), la fine della vicenda relativa allo scorporo di parte delle attività di Bank Austria (per la successiva vendita di quello che resta).
Non solo: per rendere il tutto più fumoso si parla anche di un convertendo da un paio di miliardi che permetterebbe di spostare nel tempo l'aumento, riducendo anche la diluizione, inevitabile, delle fondazioni bancarie (che in primo luogo non hanno soldi, in secondo devono rispettare il vincolo del 30% imposto, a buoi ampiamente scappati, da quel sovrano illuminato dell'Acri che è Giuseppe Guzzetti). I risultati di un'operazione del genere si possono immaginare...
Anche qui, il puzzo dell'ammuina è quasi mefitico.
E prende anche un non so che di molto sinistro, ove si consideri il ruolo di Mediobanca, "garante italiano" dell'aumento Mps, che tanto italiano potrebbe non esserlo più, se Mustier per guadagnare altro tempo decidesse di disfarsi anche della quota che Unicredit ha in MB.
Se poi a questo aggiungiamo l'inerzia del governo rispetto ai rumors che vorrebbero una fusione fra Axa e Generali sotto l'egida di Bolloré, con conseguente perdita dell'ultimo player internazionale davvero nostro, si capisce come siamo messi (male).



Ancora un esempio (grazie a Patrizia Grilli che me lo ha fatto ricordare).
Vi ricordate la questione? Prima le quattro banche dovevano essere vendute entro aprile (ma era segreto). Poi dovevano essere cedute entro settembre (ma era segretissimo). Ora si ricomincia. In modo da regalarle entro la fine dell'anno (e non è un segreto per nessuno).
Questo solo per quello che riguarda il settore bancario e assicurativo.
Ma si potrebbero portare un altro milione di esempi.
E tutto questo, perché?

PERCHÉ A OTTOBRE (O NOVEMBRE, O DICEMBRE) C’È IL REFERENDUM COSTITUZIONALE E DUNQUE RENZI, DA STATISTA QUALE È, PUR DI VINCERLO HA DECISO DI BLOCCARE UN INTERO PAESE IN UN MOMENTO ECONOMICAMENTE E POLITICAMENTE DRAMMATICO DELLA SUA STORIA.

Se ne è accorto anche Travaglio...
L'unico che si sta cercando di ritagliare il ruolo da "profeta di sventura" (mentre invece, sorprendentemente, Banca d'Italia continua col refrain per cui "va tutto bene, madama la marchesa", e scrive addirittura, apertamente, di "ripresa") è Padoan, ma va capito poverino, lui ha già la valigia in mano verso lidi più al riparo dal processo democratico.
Intanto il tempo passa. La situazione si deteriora sempre di più. E già si intravede dove andremo a parare: arriverà l'ESM e saremo noi a chiamarlo (d'altro canto, le potenze straniere, a partire da Roma in avanti, hanno sempre operato così per annettersi nuovi territori...). La lotta è solo per stabilire chi sarà il viceré di questo ex Stato sovrano, lo stesso Renzi - che, diciamocelo, altro non è che un Quisling, o uno Tsipras, qualunque - oppure Di Maio.

E L'ESM, REPETITA IUVANT, ALTRO NON È CHE LA TROIKA, CIOÈ QUELLA SIMPATICA ACCOLITA DI ISTITUZIONI CHE HA RIDOTTO ALLA FAME UN PAESE, UN PO’ PER FAR RIENTRARE DEI PROPRI CREDITI FOLLI BANCHE FRANCESI E TEDESCHE, E UN PO’ – IN FONDO - ANCHE PER DIVERTIMENTO (MICA CAPITA TUTTI I GIORNI DI POTER SPERIMENTARE DAL VIVO).

L'ho già scritto qui e qui.
Ora lo dice anche il giornale.
(Bini Smaghi è questo). 

Da Fate presto! a Fate tardi!. Il risultato però è sempre quello.