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martedì 29 novembre 2016

L'A,B,C, (e D,E,F,G) della Riforma, per gli indecisi

A pochi giorni dal voto, molti sono ancora gli indecisi su quale orientamento prendere in merito al Referendum costituzionale del 4 dicembre. Premesso che - lo ricordo - questo Referendum NON PREVEDE QUORUM, e dunque astenersi è quanto di peggio si possa fare (a meno che non siate Fabrizio Barca, per il quale tutte le Costituzioni sono uguali, come di notte tutte le vacche sono grigie), ho provato a buttare giù un piccolo dizionarietto della riforma, il più possibile scevro di opinioni e carico di fatti.


Abolizione del CNEL: il CNEL spende meno di 10 milioni di Euro all'anno. Cioè sostanzialmente nulla. In compenso, picchia duro sugli effetti socio-economici delle riforme del governo. Per il resto, v. alla voce: Casta, cricca, corruzione.

Bicameralismo perfetto: significa che un progetto o disegno di legge, per diventare legge vera e propria, deve essere approvato sia dalla Camera sia dal Senato con testi identici. Nell'attuale legislatura, quasi l'80% degli atti normativi hanno richiesto due sole letture, e sono stati approvati 266 leggi (cioè più di una a settimana) e 83 decreti legge. Più dell'85% di questi provvedimenti sono di iniziativa governativa. Il prof. Pasquino ha mostrato come nessun Parlamento - eccettuato quello tedesco - regge il confronto. Le ultime Leggi di stabilità e i vari decreti legge con cui il governo ha stravolto l'impianto fiscale e previdenziale del Paese sono stati approvati in meno di due mesi; riforme importantissime come la Buona Scuola o il Jobs Act rispettivamente in 3 e 8 mesi. Tra i testi più pregnanti di questo esecutivo, solo l'Italicum ha richiesto tempi particolarmente lunghi, a dimostrazione che la navette tra Camera e Senato, o l'insabbiamenti in commissione, si verifica quando c'è dissenso su un provvedimento all'interno della maggioranza, o quando un'iniziativa parlamentare - magari sostenuta dai cittadini - non s'ha da fare. Un articolo più ampio ed equilibrato lo potete trovare qui.
Conclusione: il Bicameralismo perfetto non ha inciso sul numero di leggi prodotte dal Parlamento, né sui tempi di approvazione, anche grazie al fatto che i tempi sono stati spesso ridotti dal governo con l'escamotage della fiducia o del decreto legge (istituti che restano, nella riforma). Quello che servirebbe al Paese, tuttavia, non è un maggior numero di leggi, bensì provvedimenti più efficaci e scritti meglio (la riforma Madia è l'ultimo clamoroso esempio). Per fare questo, andrebbe rivitalizzato l'approfondimento e il dibattito parlamentare, cosa che - per inciso - tenderebbe anche a sciogliere almeno in parte il nodo gordiano che ultimamente lega insieme, presso il governo, potere esecutivo e potere legislativo. La riforma va nel senso diametralmente opposto.

Casta, cricca, corruzione: come si sa, il nuovo Senato e la decostituzionalizzazione delle Province consentiranno di risparmiare una cifra compresa fra 50 milioni di Euro annui (stima senatore Malan) e 500 milioni di Euro annui (stima ministro Boschi). La Ragioneria dello Stato ha confermato i 50 milioni di Euro per quanto attiene il Senato, mentre ha dichiarato non quantificabili i risparmi derivanti dal taglio delle Province, soprattutto in ragione del fatto che - è chiaro fin dalla prima applicazione del c.d. Decreto Svuota Province - le Regioni hanno necessità di creare delle articolazioni amministrative intermedie fra sé e i Comuni (lo stesso dicasi, mutatis mutandis, per il CNEL, il cui costo peraltro è inferiore ai 10 milioni annui).
Due considerazioni. La prima. Questo che si vuole tagliare non è il costo della politica, ma il costo della democrazia; quando comanda uno solo, certamente le spese per il funzionamento del Parlamento sono assai inferiori. Il problema è che quando comanda uno solo, è più facile che sbagli (ve la ricordate l'ultima Guerra?). Dunque il verso costo della democrazia sono le decisioni sbagliate, non qualche diaria in più o in meno. La seconda, più importante. I 500 milioni di Euro del ministro Boschi rappresentano lo 0,06% della spesa pubblica annua italiana. Un nulla. Per di più, la spesa pubblica è PIL, cioè ricchezza privata (anche i Senatori che prendono lo stipendi tendono a spenderlo in negozi, bar, ristoranti e non a bruciarlo nell'Etna). Di contro, l'Italia è contribuente netta dell'UE per circa 7 miliardi di Euro all'anno (cfr. bilancio europeo 2007-2013), i quali - quando va bene - finiscono nelle tasche di persone che li spendono in Paesi diversi dal nostro e - quando va male, cioè spesso - nei bilanci delle banche tedesche e francesi (via ESM).
La riforma del Senato ridurrà i Senatori da 315 a 100, tra l'altro part-time, nel senso che si tratterà di consiglieri regionali che avranno anche questo incarico. È la lotta contro la casta. Sarà, ma a me pare il contrario. Qui si sta parlando di far sì che dei politici - i più squalificati dei poilitici nel sentire comune, quelli delle Regioni - eleggano, secondo bizantinismi totalmente incontrollabili da parte del popolo così detto sovrano (e non solo al popolo), alcuni di loro (insieme ad un limitato numero di sindaci) affinché questi siano anche senatori.
Il tratto dopo-lavoristico dell'incarico, oltre al fatto che ai senatori è concessa l'immunità parlamentare, fa presagire che gli eletti non rappresentino proprio il meglio delle classi politiche locali, anzi. Altro che lotta alla cricca, riduzione della corruzione, e via salmodiando. Questi, più che per decidere su una riforma costituzionale, sono slogan buoni per un libro di Stella e Rizzo.

Democrazia: poiché a questa riforma costituzionale si salda come un gemello siamese l'Italicum, è importante sottolineare che, nel caso di vittoria del sì, solo la Camera dei Deputati voterà la fiducia al governo e che tale Camera vedrà una maggioranza del 56% di eletti del partito che - pur rappresentando, magari, un quarto della Nazione - ha però vinto anche di un solo voto il ballottaggio. Se poi per il nuovo Senato si votasse oggi, la maggioranza avrebbe una rappresentanza probabilmente superiore al 60% del totale dei seggi.
Quindi, un quarto della Nazione, in linea di principio potrebbe: votarsi autonomamente tutte le leggi ordinarie che ritiene opportuno; eleggere da solo il Presidente della Repubblica (basterà il 60% dei votanti, neppure del totale degli aventi diritto); eleggere - al limite (a seconda delle scadenze dei diversi mandati) - cinque giudici costituzionali su quindici, cui si aggiungono altri cinque nominati dal Presidente della Repubblica.
Considerato che, come dimostrato sopra, l'indirizzo politico e la sua esecuzione sono ormai appannaggio del medesimo organo (il governo), la divisione dei poteri e il principio dei "pesi e contrappesi" sono completamente spazzati via.
Unico contraltare al partito di governo resterebbe la magistratura. Quanto male questa contrapposizione furiosa abbia portato all'Italia degli ultimi 20 anni è sotto gli occhi di tutti.

Europa: Dice Renzi che se vince il sì saremo più forti in Europa, che poi sarebbe l'Unione Europea. Tuttavia, approvando la riforma costituzionale, ci priviamo del principale strumento concessoci per - sempre per usare un'espressione del premier - poter "battere i pugni sul tavolo". Questo strumento è l'uscita dall'UE.
La riforma Renzi-Boschi, infatti, costituzionalizza l'Unione Europea (e la c.d. Legge Comunitaria), anzi impone al Senato l'obbligo di "concorrere all'esercizio delle funzioni di raccordo tra lo Stato, gli altri enti costitutivi della Repubblica e l’Unione europea", partecipando "alle decisioni dirette alla formazione e all'attuazione degli atti normativi e delle politiche dell’Unione europea".
Con questa norma, in sostanza, si cancellano cinquant'anni di giurisprudenza costituzionale sul dualismo degli ordinamenti italiano e comunitario, senza neppure citare i c.d. "controlimiti", che sempre per giurisprudenza costante la Corte Costituzionale ha considerato al di sopra delle norme europee.
Il risultato pratico potrebbe essere lo svuotamento dell'anima sociale della nostra Costituzione a vantaggio dell'iper-liberismo competitivo dei Trattati UE. V. alla voce: Fiscal Compact.

Fiscal compact: Qui sta il cuore della Riforma. Perché potenziare i poteri del governo (non scordiamo che questo non solo godrà di una importantissima maggioranza parlamentare - v. alla voce: Democrazia -, ma potrà anche contingentare i tempi per la discussione delle leggi più importanti e ridurre significativamente gli spazi di autonomia delle Regioni - v. alla voce: Governo regionale), perché introdurre un vincolo europeista assai più perspicuo di quello di cui all'art. 117, c. 1, Cost. attuale?
Per rendere effettivo il principio del "pareggio di bilancio" e con esso il relativo "vincolo monetario", principale grimaldello utilizzato per l'arretramento dello Stato a "Stato minimo" e per la privatizzazione di interi settori del nostro welfare, a partire dalla Sanità. D'altronde noi viviamo in un sistema in cui ci siamo privati del diritto di battere moneta (lo fa la BCE, cioè un organo c.d. indipendente, che poi significa NON ELETTO né soggetto ad alcuna RESPONSABILITÀ rispetto agli Stati dell'UEM: v. art. 105, Statuto BCE) e di monetizzare il deficit (art. 123 del TFUE).
Non solo: dice sempre Renzi, ma anche Gentiloni oggi a Berlino, che grazie alla nuova Costituzione le "riforme strutturali" saranno più celeri; e ormai penso che chiunque ha capito che "riforma strutturale" significa compressione dei diritti sociali dei lavoratori (minore stipendio, tramite Jobs Act; minore istruzione, tramite Buona scuola; minori pensioni, tramite Legge Fornero, ecc.).
L'attuale art. 81, Cost., approvato in fretta e furia ("fate presto!") dal governo Monti, dispone infatti: "lo Stato assicura l'equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico. Il ricorso all'indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali. Ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte...... Il contenuto della legge di bilancio, le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare l'equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni sono stabiliti con legge approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, nel rispetto dei principi definiti con legge costituzionale".
L'attuale art. 97, c. 1, Cost. ugualmente prevede: "Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico".
Questi testi non sono modificati dalla riforma. Che però aggiunge all'art. 119, c. 4, Cost.: "con legge dello Stato sono definiti indicatori di riferimento di costo e di fabbisogno che promuovono condizioni di efficienza nell'esercizio delle medesime funzioni". E all'art. 116, c. 3, Cost.: "ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia... possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, anche su richiesta delle stesse, sentiti gli enti locali..., purché la Regione sia in condizione di equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio...".
Il disegno complessivo è spiegato dallo stesso governo nella Relazione accompagnatoria al d.d.l. oggetto di referendum: "lo spostamento del baricentro decisionale connesso alla forte accelerazione del processo di integrazione europea e, in particolare, l’esigenza di adeguare l’ordinamento interno alla recente evoluzione della governance economica europea (da cui sono discesi, tra l’altro, l’introduzione del Semestre europeo e la riforma del patto di stabilità e crescita) e alle relative stringenti regole di bilancio (quali le nuove regole del debito e della spesa); le sfide derivanti dall'internazionalizzazione delle economie e dal mutato contesto della competizione globale; le spinte verso una compiuta attuazione della riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione tesa a valorizzare la dimensione delle Autonomie territoriali e in particolare la loro autonomia finanziaria (da cui è originato il cosiddetto federalismo fiscale), e l’esigenza di coniugare quest’ultima con le rinnovate esigenze di governo unitario della finanza pubblica connesse anche ad impegni internazionali: il complesso di questi fattori ha dato luogo ad interventi di revisione costituzionale rilevanti, ancorché circoscritti, che hanno da ultimo interessato gli articoli 81, 97, 117 e 119 della Carta, ma che non sono stato accompagnati da un processo organico di riforma in grado di razionalizzare in modo compiuto il complesso sistema di governo multilivello articolato tra Unione europea, Stato e Autonomie territoriali, entro il quale si dipanano oggi le politiche pubbliche".

Governo regionale: L'attuale Titolo V della Costituzione, con l'identificazione di materie proprie dello Stato, altre delle Regioni, altre ancora a competenza concorrente, ha effettivamente creato non poche incertezze, lentamente risolte - con grande acribia - dalle sentenze della Corte Costituzionale (che, negli anni, ha fatto molta chiarezza, ma non per il Ministro Madia che lamenta una "evoluzione giurisprudenziale" che forse, a ben vedere, non c'è).
Ora si vuole cambiare. Penso che nessuno, in Italia, non lo ritenga opportuno. Per questo una riforma equilibrata del solo Titolo V sarebbe passata a larghissima maggioranza parlamentare, senza necessità di referendum (e lo stesso dicasi per altri "tratti minori" della riforma). Qui, però, la legge costituzionale usa la "mano pesante", nel senso che riattribuisce allo Stato centrale competenze molto significative ed incidenti sia sull'autonomia del governo regionale, sia sulla vita delle comunità locali. Ad esempio tornano allo Stato:
- le "norme sul procedimento amministrativo e sulla disciplina giuridica del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche tese  ad assicurarne l’uniformità sul territorio nazionale" (la Legge Madia si era già spinta su questo sentiero, e infatti è stata sonoramente bocciata);
-  le "disposizioni generali e comuni per la tutela della salute, per le politiche sociali e per la sicurezza alimentare", cioè i famosi costi standard della sanità (la differenza, nelle Regioni meno virtuose, è presumibile ce la metta il cittadino, con il ticket);
- la "previdenza complementare e integrativa";
- le norme su "produzione, trasporto e distribuzione nazionali dell'energia", nonché sulle "infrastrutture strategiche e grandi reti di trasporto e di navigazione d’interesse nazionale e relative norme di sicurezza; porti e aeroporti civili, di interesse nazionale e internazionale". In sostanza, deciderà lo Stato centrale, e solo quello, cioè il governo, e solo lui, dove far passare autostrade e ferrovie, dove costruire porti, o gasdotti, o impianti chimici, o termovalorizzatori.
La riforma, inoltre, riesce nel difficile intento di produrre Regioni di serie A, Regioni di serie B e Regioni di Lega Pro. Le prime sono quelle a Statuto speciale (cioè quelle che, tra le altre cose e proprio a voler parlare di soldi, costano di più alla collettività), per le quali è previsto dalla riforma un inaudito iter di modifica dei relativi Statuti: servirà infatti una legge costituzionale previa intesa con la Regione medesima, che dunque avrà diritto di veto. Le seconde sono le "Regioni virtuose" di cui all'art. 116, c. 3, di cui si è detto. Le terze, tutte le altre. Il che si sposa male con il supposto intento della Riforma di rendere omogenee le condizioni di vita in tutto il territorio nazionale.


Io, stando così le cose, voto no.
Voto no perché la nostra Costituzione garantisce non soltanto la "libertà di" (libertà di parola, libertà di movimento, ecc.), ma anche la "libertà da" (dal bisogno, dalla disoccupazione, dalla paura di ammalarsi senza potersi curare). Questa riforma, come tutte le riforme ispirate dall'UE o che comunque si pongono nel solco dei principi dei Trattati UE, sovverte questo dato di fatto, limitando ciascuna delle succitate libertà in relazione ai vincoli di bilancio predeterminati al di fuori del circuito democratico.
Il diritto alla pensione, il diritto alla salute, il diritto al lavoro in tanto possono essere concessi e attuati in quanto lo Stato non produca deficit.
Le politiche industriali e del lavoro in tanto potranno essere attuate in quanto siano congruenti con l'obiettivo della BCE di mantenere basso il tasso di inflazione.
Il dibattito democratico in tanto potrà esprimersi in quanto non vi sia necessità - in mancanza di strumenti di politica fiscale e monetaria (l'Euro è uno per tutti) - di scaricare shock economici asimmetrici sui salari dei lavoratori (le note riforme strutturali).


Se poi non avete voglia di leggere tutto questo papello, potete anche seguire il consiglio del Civico 21 (quattordici minuti illuminanti).

4 commenti:

  1. VOTARE NO significa votare contro l' usura che ci ha imposto senza il nostro consenso i suoi dannosi e servizievoli figuranti affidando loro il devastante compito di condurci, passo dopo passo, verso il fallimento certo.

    Per fare accettare illogiche privazioni, sacrifici e subdolamente condurre alla miseria, gli usurai da decenni diffondono pretestuosi, falsi e terrorizzanti concetti che sono l' inflazione ed il debito pubblico.

    Sono concetti ininfluenti, che non scalfiscono minimamente la crescita del benessere diffuso in uno Stato sovrano che crea e gestisce per il bene collettivo la propria moneta.

    Per accreditare come scientifici i due condizionanti concetti terroristici, gli usurai hanno comperato, con moneta usurpata, tutte le case editrici specializzate in pubblicazioni economiche, grazie alle quali poter manipolare le fondamentali e sane regole dell'economia tradizionale degli Stati democratici. E questo permette di ammaestrare alle loro teorie inventate migliaia di studenti universitari, pagare a suon di milioni di moneta usurpata i più accreditati docenti universitari incaricati di promuovere in migliaia di convegni i loro concetti truffaldini e farli passare come scientifici anche presso i luoghi accademici.

    L'obiettivo è far dimenticare che una sana economia sociale presuppone che solo e soltanto lo Stato possa coniare e democraticamente erogare la propria moneta, al fine di dare committenza per opere di pubblica utilità, creando benessere e posti di lavoro e chiamando i cittadini a dare il contributo delle loro abilità per il bene collettivo.

    Contro le teorie economiche degli usurai, pretestuosamente complicate e contorte per mimetizzare il fine ultimo, che è sempre quello di predare le ricchezze altrui, una bella pagina è stata scritta dagli studenti universitari americani che hanno contestato fortemente i professori prezzolati dall' usura, delegati per insegnare le tecniche spudoratamente predatorie a spese degli Stati e dei cittadini.

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  2. Porgo ancora una volta (sono il tizio che ogni tanto segnala refusi) i miei ringraziamenti per il lavoro del padrone di casa e per la sua instancabile opera di divulgazione, specie considerando che, probabilmente, le sue parole cadranno nel vuoto.
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    Mi pare infatti che una delle caratteristiche salienti di questa campagna referendaria sia il rifiuto da parte di molti di qualsiasi discussione sul merito della riforma.
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    Eppure, per sua natura, la materia si presterebbe ad una analisi razionale ed una decisione logica; c'e' una parte che ha una proposta, e la appoggia con alcune affermazioni sulle conseguenze della proposta stessa. Ciascuna affermazione puo' essere analizzata oggettivamente, per vedere se c'e' un riscontro fattuale. Se il riscontro non c'e', o e' palesemente vacuo, l'affermazione viene rigettata, e se alla fine del processo, come e' avvenuto, tutte le affermazioni a sostegno sono rigettabili, allora la proposta non ha alcun motivo di essere accolta.
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    Questo mi pare sia il risultato delle analisi di merito (non ultima quella del blog): prima ancora di avere molti motivi per votare No, non e' emerso alcun motivo valido per votare Si.
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    Nonostante questo, la platea di persone che voteranno comunque Si e' enorme, e francamente il dato e' straordinario.
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    Sarebbe davvero interessante, ma penso sia materia per le menti piu' che raffinate, indagare quali meccanismi mentali portino ad un tale rifiuto di confutazioni logiche e fattuali, e all'adesione ad una realta' che e' dimostrabilmente, oggettivamente falsa.
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    In attesa di ipotesi, resta la constatazione dell'impossibilita' di avere non dico un dialogo, ma nemmeno una analisi imparziale di cio' che viene detto da parte dei promotori della riforma (e si noti che, vista la natura della consultazione, l'onere di presentare argomenti convincenti sta a loro, non a chi la riforma non la vuole).
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    Il che rende ancora piu' meritoria l'opera svolta su queste pagine.
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    IPB

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    1. Arrischio qualche considerazione in merito alla domanda che mi poni: perché - pur in presenza di una riforma oggettivamente pasticciata e pericolosa - molte persone, a mio avviso purtroppo la maggioranza, voteranno sì?
      1) La pregnante propaganda pre-razionale utilizzata da Renzi e rilanciata da tutti i principali mezzi di informazione di massa. Il sì è sinonimo di gioventù e cambiamento, il no di vecchiaia e conservazione (Renzi, non a caso, ha duellato con Zagrebelsky e De Mita, non proprio due giovincelli). Questo cambiamento è tanto più importante in un Paese in cui le cose, come stanno, vanno male, in un Paese "fermo". Il sì è anche movimento, il no immobilismo (ti ricordi Celentano: rock contro lento?). Sai quanto è più difficile far comprendere che, in realtà, la riforma tende sì a cambiare la situazione, ma peggiorandola! Anche perché, al contrario di quello che si dice, non è affatto scritta male, è appositamente scritta in modo da raggiungere gli obiettivi prefissati non direttamente, non scopertamente, ma per - diciamo - via traversa, in modo da rendere incompatibile il disvelamento di questo fine per esempio nei tempi televisivi.
      2) Il combinato disposto di Mani Pulite, conflitto tra la Magistratura e Berlusconi, nascita e affermazione del M5s hanno creato una disistima, direi quasi un odio nei confronti della classe politica, per cui la sola idea di poter ridurre di 200 persone la "casta" del Senato porta moltissime persone a schierarsi, acriticamente, per il sì, indipendentemente dagli effetti di lungo periodo della riforma (assai più difficili da comprendere). Questa forma mentis porta anche all'amore incondizionato di molti per l'UE: se i nostri politici sono degli incapaci farabutti, l'eterodirezione da parte di Bruxelles è una manna dal cielo, e ben venga se è costituzionalizzata!
      3) Lo stesso dicasi per quei quattro soldi risparmiati dall'abolizione del Senato elettivo e del CNEL. Sono il frutto avvelenato di venti anni di propaganda secondo cui lo Stato dovrebbe avere un bilancio analogo a quello di una famiglia. Il debito è male (e nessuno che si interroghi che senza debito non vi è neanche il correlato credito). Tu dirai: ma nessuno si scandalizza per i miliardi regalati alla UE! E' vero; questo perché nessuno - tra i media mainstream - ne parla. E se ne parla lo fa in modo oleografico o macchiettistico (i Polacchi che, al contrario di noi, usano bene i Fondi strutturali).
      4) Molti cederanno al ricatto. Dell'instabilità, del governo tecnico, della crisi di Mps, delle 8 banche che saltano, delle cavallette, della morte dei primogeniti, ecc.
      5) Ultimo ma non meno importante. Ti sembrerà strano, ma la nostalgia dell'uomo forte, del decisionista, del leader, in questo Paese si sente. Quando invece, l'unico uomo solo al comando che tutti dovremmo idolatrare resta sempre, e soltanto, Fausto Coppi.

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    2. >> Sono il frutto avvelenato di venti anni di propaganda secondo cui lo Stato dovrebbe avere un bilancio analogo a quello di una famiglia.
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      Se trovassi la lampada col genio dentro, uno dei tre desideri da esaudire sarebbe quello di estirpare questa idea assurda dalla testa della gente, una volta per tutte. Ritengo che sia, da sola, responsabile per la maggior parte dell'imbarbarimento e della regressione sociale degli ultimi 40 anni, una specie di peccato originale del pensiero malato di cui stiamo ancora espiando la colpa.
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      IPB

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