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martedì 18 ottobre 2016

Renzi aumenta la razione di cioccolato

A quanto pareva, vi erano state anche manifestazioni di ringraziamento al Grande Fratello per aver aumentato la razione settimanale di cioccolato, portandola a venti grammi. Ma se appena ieri, pensò Winston, avevano annunciato che la razione di cioccolato doveva essere abbassata a venti grammi! Possibile che potessero mandar giù una balla simile a distanza di sole ventiquattr'ore? Sì, era possibile. Parson se l'era bevuta tranquillamente, con la stupidità di un animale. [...] E pure Syme, magari in una maniera più complessa, implicante una qualche dose di bipensiero, pure Syme se l'era bevuta. Era quindi solo lui, Winston, a possedere una memoria?(G. Orwell, 1984) 

Questa è l'intesa tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano concernente il nuovo "Patto per la salute" per gli anni 2014-2016, stipulato il 10 luglio 2014 - Renzi regnante - ai sensi dell'art. 8, c. 6, L 5 giugno 2003, n. 131 (testo integrale qui, grazie a @killMatteo).
Per la sanità, nel 2015 avrebbero dovuto essere stanziati 112 miliardi, nel 2016 fino a 115 miliardi e mezzo.


Questa è invece la slide, sempre di Renzi, di un paio di giorni fa.


"Questo governo non ha mai tagliato la sanità e ora ha 2 miliardi in più, e quel miliardo che per alcuni sembrava ballerino servirà per i farmaci oncologici, per l'epatite C, per i vaccini e per le nuove stabilizzazioni di medici e intermedi... Il fondo per la sanità era di 111 miliardi l'anno scorso, oggi è di 113 miliardi. Oggi ho letto 'stretta sulla sanità', abbiamo un concetto diverso di stretta: questa è larga, non stretta". Così Matteo versione Grande Fratello.
Nel mezzo, c'è stato l'art. 1, c. 325, L. stabilità 2016, ancora di Matteo.


È un giochino delle tre carte troppo squallido per essere commentato. Soprattutto perché si gioca sulla pelle dei malati e delle loro famiglie.


Aggiungo solo un ultimo pensiero.
La sanità rappresenta circa l'80% dei budget regionali. Se considerate questo dato, quello che segue acquista un significato un po' più sinistro.


giovedì 13 ottobre 2016

L'abolizione delle elezioni (ancora sul Senato renziano)

Vi ricorderete che Renzi, da poco insediatosi a Palazzo Chigi, decise - col piglio da leader che lo contraddistingue - di eliminare le Province. O meglio, per usare un'espressione intellettualmente disonestissima che tanto gli piace ultimamente, di abolire le Province elettive.


Certo, il titolo non è chiarissimo nel dire che le più grandi di queste fantomatiche province, più che essere estinte, semplicemente cambiano nome, prendendo quello - certo più à la page - di "città metropolitane", ma non si può pretendere tanta precisione da un giornalista. E poi, insomma, 15 città metropolitane rispetto a più di 100 province, dai... è un bel colpo!
Oddio, proprio a dirla tutta, senza revisione costituzionale queste benedette Province restano in vita, ma svuotate di competenze, per carità, senza più essere centri di spesa.
Infatti, ecco la versione primavera-estate del Corriere.


Dunque, le Province esistono: se al prossimo referendum del 4 dicembre vincerà il sì, saranno del invece del tutto abolite, escluse le 15 Città metropolitane, che resteranno intatte, proprio grazie alla precedente riforma (fatta per eliminarle) del governo che ha ora proposto la nuova riforma (anch'essa fatta per eliminarle).
Non ci avete capito nulla? Tranquilli, è normale. Anzi, è fatto apposta.
Comunque, le Province esistono: e meno male che esistono. Sono talmente necessarie, almeno allo stato attuale, che il governo assegna loro più soldi, e le Regioni le confermano, sia pure in maschera. Anche dopo il 4 dicembre ci saranno enti intermedi, che con ogni probabilità prenderanno il nome - neanche tanto fantasioso - di "aree vaste".
Riforme inutili, quindi?
Non proprio, perché la legge del 2014 il risultato che effettivamente si prefiggeva l'ha raggiunto. Per le Province non si vota più.
Meglio: gli elettori non votano più.
Le elezioni, invece, si fanno ed a votare sono sindaci e consiglieri comunali del territorio (che eleggono altri sindaci, sempre del territorio, o al massimo i presidenti di Provincia uscenti).
Siccome i "grandi elettori" sono politici, ed i politici rappresentano chi li ha votati, questi signori hanno pensato bene di copiare in tutto le elezioni a suffragio universale, soprattutto per quanto riguarda l'astensione.
Alle recenti elezioni di Roma e Bologna non ha votato quasi un quinto degli aventi diritto, a Milano oltre un quarto, a Torino più di un terzo.
Ora, facendo il "combinato disposto" (Renzi dixit) del voto ponderato (consiglieri e sindaci dei comuni più popolosi hanno un peso maggiore nelle votazioni), del sistema maggioritario a doppio turno con ballottaggio utilizzato nei Comuni con più di 15.000 abitanti e dell'astensione esagerata sopra ricordata, si capisce come il risultato di queste elezioni e la volontà popolare non abbiano assolutamente nulla in comune.
In alcuni casi, le liste che hanno ottenuto, nei vari Comuni formanti la Provincia, la maggioranza assoluta dei seggi, neppure sono entrate nel Consiglio provinciale.
Per avere un così perfetto sistema, ovviamente bisogna averci studiato.
Quello del Senato è lo stesso.
Ora, io domando: ma veramente voi volete che l'Organo costituzionale che vigilerà sull'applicazione del diritto e delle politiche europei, cioè dell'80% di tutta la legislazione interna, nonché degli orientamenti che più pervasivamente influenzeranno la nostra vita, sia eletto in questo modo assurdo, che non solo vi priva della possibilità di esprimere la vostra opinione, ma che anzi è scientificamente pensato per giungere a risultati divergenti da quelli che avrebbe raggiunto la liberà espressione della volontà popolare?
Se veramente volete questo, il 4 dicembre votate convintamente sì.
Ve lo meritate.

lunedì 3 ottobre 2016

A cosa serve il nuovo senato renziano (the new Seiano)

Con la riforma costituzionale risparmieremo un sacco di soldi, perché ha abolito il CNEL, ha abolito le province, ha abolito il Senato!
Questa sarà la frase che, come un mantra, i testimoni di geova renziani ripeteranno ossessivamente per due mesi, porta a porta.
Non sarà tutto tempo perso. Intanto, molti scopriranno l'esistenza del CNEL, il che fa sempre bagaglio culturale. Qualcuno, facendo una breve ricerca su internet, si accorgerà pure che la sua abolizione è sostanzialmente inutile, sia per il miserrimo risparmio, sia perché tanto un ufficetto studi le Regioni se lo sono già create tutte. Ma tant'è.
Quelli più avvertiti faranno presente alle nuove serve di Maria (Elena) che l'abolizione delle Province o del CNEL si poteva tranquillamente fare con un paio di leggine costituzionali votate all'unanimità (come ben sottolineato dal prof. Onida qui)...


...e che, in realtà, il Senato non è affatto abolito, ma semplicemente reso non elettivo e composto da un terzo degli attuali membri. Con un risparmio in termini di risorse, tra l'altro, miserrimo (oltre che, alla fin fine, dannoso).
Anzi.
Il PD, all'idea di abolire puramente e semplicemente la seconda camera, ha risposto picche.
Però, ha pensato bene di inventare un sistema di elezione folle.
Il nuovo Senato ha 100 membri, 5 nominati per un settennato dal Presidente della Repubblica, gli altri eletti - ai sensi dell'art. 57 - dai consiglieri regionali (invece che a suffragio universale). Di questi 95, 21 sono scelti fra i sindaci (uno per ciascuna regione), gli altri 74 tra i consiglieri regionali medesimi (che, dunque, si votano da soli).
Non bastando tutto questo bailamme, Sindaci e Consiglieri restano in Senato finché non scade il relativo mandato "nelle istituzioni territoriali cui appartengono", così che è ben probabile che a Palazzo Madama debbano mettere le porte scorrevoli.

Ma allora, a cosa serve questo Senato renziano? A molte cose.

A livello di epifenomeno, serve in primo luogo a fare un favore alla disastrata classe dirigente regionale, che potrà profittare, per una certa parte dei suoi membri, della (blanda) immunità dell'art. 68 della Costituzione, non a caso non modificato ("senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, né può essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale, o mantenuto in detenzione, salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero se sia colto nell'atto di commettere un delitto per il quale è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza. Analoga autorizzazione è richiesta per sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza").

Su un piano più profondo, a due obiettivi, assai più inquietanti.
Come si sa, le Camere eleggono il Presidente della Repubblica e parte dei membri della Corte Costituzionale. Una modifica così profonda del Senato, che nella retorica renziana si vuole depotenziato, quasi inutile, ha imposto una rivisitazione anche delle modalità di elezione di questi organi.
Giustamente, il quorum minimo per eleggere il Presidente della Repubblica si alza, dalla maggioranza assoluta dei membri del Parlamento in seduta comune aumentato dei rappresentanti regionali, ai tre quinti del medesimo consesso (3/5 dei presenti al voto, dal settimo scrutinio, il che invero è un po' inquietante, non permettendo più ai parlamentari di bloccare l'elezione standosene a casa, ma tant'è).
Invece, per la Corte Costituzionale, c'è qualcosa di strano. Ad oggi, "la Corte costituzionale è composta di quindici giudici nominati per un terzo dal Presidente della Repubblica, per un terzo dal Parlamento in seduta comune e per un terzo dalle supreme magistrature ordinaria ed amministrative". I cinque giudici eletti dal Parlamento sono eletti a scrutinio segreto, con la maggioranza dei due terzi dei componenti l’Assemblea (tre quinti dal quarto scrutinio).
Con la riforma, tutto cambia: i cinque giudici sono eletti tre dalla Camera e due dal Senato. Ora, tre quinti della Camera significano soltanto il 5% di seggi in più di quelli che toccano al partito che vince le elezioni al ballottaggio. In sostanza, chi vince le elezioni si elegge tre giudici costituzionali da solo. Tre quinti del Senato, ugualmente, significano 60 senatori, cioè un numero che il governo controlla oppure con cui può facilmente trattare.
E questo, secondo me, è pericolosissimo. Se ne parla poco, come di tutti i dettagli in cui, spesso, si nasconde il Diavolo.

Cercare di controllare la Corte Costituzionale significa, in sostanza, meditare di scardinare i principi fondanti della nostra Costituzione. Così come d'altronde richiesto, a suo tempo, a Matteo.
Richiesto... meglio: intimato.
(Poi mi raccomando chiedetevi come mai Viola, che voleva sistemare il Monte quanto prima e non dopo il referendum, sia stato giubilato).

Qui si incardina il secondo obiettivo.
Partiamo da un'osservazione. È singolare che, mentre ad oggi "ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione" (art. 67), nel Senato renziano i senatori sono "rappresentativi delle istituzioni territoriali" che li hanno eletti (art. 57).
Tradotto in altri termini: i nuovi Senatori renziani non sono tenuti a perseguire gli interessi nazionali.
Già appare assurdo pensare che coloro che fanno parte del Senato ITALIANO possano perseguire gli interessi di una parte (una REGIONE) anche se in contrasto con quelli del tutto. Ma, a ben vedere, le cose non stanno proprio così.
Primo, perché il nuovo Senato sarà quanto di più lontano dalla rappresentanza dei territori regionali, sia per quanto espresso dal prof. Onida qui sotto, sia perché, evidentemente, nell'elezione dei rappresentanti al Senato le minoranze regionali saranno ovviamente conculcate.


Secondo, perché ai sensi dell'art. 55 del nuovo testo che auspicabilmente sarà tra due mesi bocciato dal popolo italiano, "il Senato della Repubblica rappresenta le istituzioni territoriali ed esercita funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica. Concorre all'esercizio della funzione legislativa nei casi e secondo le modalità stabiliti dalla Costituzione, nonché all'esercizio delle funzioni di raccordo tra lo Stato, gli altri enti costitutivi della Repubblica e l’Unione europea. Partecipa alle decisioni dirette alla formazione e all'attuazione degli atti normativi e delle politiche dell’Unione europea. Valuta le politiche pubbliche e l’attività delle pubbliche amministrazioni e verifica l’impatto delle politiche dell’Unione europea sui territori. Concorre ad esprimere pareri sulle nomine di competenza del Governo nei casi previsti dalla legge e a verificare l’attuazione delle leggi dello Stato".
Chiaro? I Senatori, che non rappresentano più la Nazione, devono però verificare "l'impatto della legislazione europea" e partecipare alla "attuazione delle politiche dell'Unione".

In sostanza, la nostra sarà (sarebbe) l'unica Costituzione in tutto il Continente a sancire l'obbligatorietà di attuazione delle politiche europee lato sensu intese, oltre che a prevedere un Organo costituzionale che, in sostanza, funge da prefetto del pretorio di Bruxelles a Roma.
Una specie di Seiano, uomo intelligente, accorto e cinico: "corpus illi laborum tolerans, animus audax; sui obtegens, in alios criminator; iuxta adulatio et superbia; palam compositus pudor, intus summa apiscendi libido, eiusque causa modo largitio et luxus, saepius industria ac vigilantia, haud minus noxiae quotiens parando regno finguntur". Che però finì ammazzato.

Per dirlo col linguaggio tecnicamente ineccepibile del Presidente Barra Caracciolo:
O, più prosaicamente:

Paio complottista.
In realtà, che questa sia la ratio della riforma è stato scritto nero su bianco dallo stesso governo. Proprio dal governo, e in un atto ufficiale!
I sostenitori del sì (soprattutto i più dementi) obiettano che, in realtà, il diritto comunitario è già entrato nella nostra Carta Costituzionale dalla porta principale: l'art. 117, c. 1, come modificato dalla dissennata riforma del 2001, statuisce infatti che "la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni" non soltanto "nel rispetto della Costituzione", ma anche "dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali".
In realtà, non è così. E chi lo dice o è in malafede o è un gonzo. O tutt'e due le cose insieme.
Infatti l'introduzione di questa disposizione nella Carta (norma che, comunque, resta particolarmente odiosa, quasi provocatoria, non a caso ultimo frutto avvelenato di quella stagione di europeismo orrendo che sono i governi Prodi, D'Alema e Amato) non ha spostato di una virgola il modello tracciato dalla Corte Costituzionale quanto al regime di applicazione del diritto europeo, che continua a fondarsi sulla possibile "limitazione di sovranità" prevista dall'art. 11.
L’art. 117, c. 1, è piuttosto una norma che, sul piano dell’esercizio della funzione legislativa, prende atto di un processo, in corso, di integrazione fra ordinamenti, senza per questo imporre una visione "monistica" (che, anzi, la Corte esclude: cfr. Corte Cost., 13 febbraio 2008, n. 102) degli stessi. In altri termini, è come se si dicesse: "legislatore, attento quando legiferi, perché - ad oggi - hai preso impegni con l'UE e con la comunità internazionale. Ai sensi dell'art. 11, devi rispettarli".Tutto qui, né più né meno.

IL NUOVO ART. 55 È BEN DIVERSO. TI IMPONE DI ATTUARE LE FUTURE POLITICHE UE, CHE SONO COME COSTITUZIONALIZZATE.
FORSE È GIUSTO COSÌ: SIAMO GIÀ UNA COLONIA - NON POSSIAMO BATTERE MONETA, NON CONTROLLIAMO I NOSTRI CONFINI, FACCIAMO RICHIESTE STRACCIONE AI TEDESCHI PER POTER AVERE QUALCHE MARGINE DI POLITICA FISCALE - SCRIVIAMOLO UNA VOLTA PER TUTTE E FACCIAMOLA FINITA.

In questo senso è interessantissimo anche il discorso di Alberto Bagnai, il quale evidenzia come il tentativo di riportare una maggiore centralizzazione della funzione legislativa dopo il pastrocchio della modifica del Titolo V voluta da Amato nel 2001 sia funzionale proprio a rendere maggiormente efficace questa "cinghia di trasmissione" fra volontà di Bruxelles e assoggettamento di Roma.

(Il che fa anche capire che senso abbia trasmettere e guardare una trasmissione in cui si scontrano un Eurista per il sì con un Eurista per il no. Io - proprio perché l'ho capito - la trasmissione non l'ho guardata, ma non faccio fatica a credere che abbia vinto Renzi. L'Eurista per il sì è necessariamente più conseguente dell'Eurista per il no).

Cinghia di trasmissione, ovviamente, che tanto più è efficiente quanto più il Parlamento è subalterno al Governo.
E qui entrano in gioco tutte le contestazioni fatte all'Italicum, le polemiche sulle preferenze, il fatto che solo un ramo del Parlamento esprima la fiducia, e così via; ma si tratta, in fondo, solo di corollari.

Sulla stessa linea d'onda riporto qui un articolo di Giuseppe Palma, che condivido sostanzialmente appieno.