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martedì 19 luglio 2016

Il CCNL e le gabbie salariali (chi si fa agnello, leone se lo mangia)

La Francia è stata bloccata dei mesi per gli scioperi e le piazze traboccavano di manifestanti contro la Loi Travail (cioè il Jobs Act in salsa transalpina). Tuttora continuano le proteste, nonostante metodi di approvazione delle norme non proprio democratiche. Norme che, come ben si sa, sono state adottate, in due mandate, anche da noi, prima grazie alla Legge Fornero, che il Signore ce la conservi, quindi coi decreti a nome merigàno di Matteo nostro. Il tutto, a fronte di un paio d'ore di sciopero.
Per dirla tutta:
D'altronde, il motivo esiste.
Siccome siamo dei gran pecoroni, e chi si fa pecora il lupo se lo mangia, le nostre amate élite trafficano - di festival in festival, come vedremo - onde cercare di peggiorare ulteriormente quello che sembrava già un capolavoro di mostruosità. Nel frattempo, si danno alla cosmesi da prima pagina dei giornaloni, in modo da non cambiare assolutamente nulla, ma riuscire comunque a sviare l'attenzione dai temi concreti.

Prima parte: i voucher.
Seconda parte: il Festival del Lavoro (!).
Terza parte: l'attacco al contratto collettivo nazionale.

* * * * *

Il meraviglioso edificio del Jobs Act (cinque decreti delegati: nn. 81, 148, 149, 150 e 151 del 2015) ha già bisogno di qualche ritocchino. Come se aveste comprato casa nuova e dopo sei mesi cascasse la facciata. I sullodati ritocchini, peraltro, non sono poi così marginali: tra gli altri, quello che riguarda il "lavoro accessorio", meglio noto ai precari d'Italia col nome esecrando di voucher, e quello relativo alla possibilità di trasformare i contratti di solidarietà “difensivi” in “espansivi” (con - ti pareva! - la previsione di incentivi per il datore di lavoro).
Come si sa, infatti, ad oggi la comunicazione di inizio della prestazione è fatta con riferimento ad un arco temporale che può arrivare sino ai 30 giorni successivi, senza l’identificazione in anticipo del giorno preciso di inizio della prestazione. In altri termini: io dichiaro oggi di voler utilizzare un voucher, e solo per questo sono in qualche modo coperto rispetto ad eventuali controlli dell'Ispettorato del lavoro per tutto il mese successivo.
Un po' come se togliessero l'obbligo di obliterazione dei biglietti sull'autobus.
Il governo ha deciso di correre ai ripari (com'era già successo, in passato, col lavoro intermittente), imponendo al datore di lavoro di comunicare, 60 minuti prima dell’inizio della prestazione, mediante SMS o posta elettronica, i dati del lavoratore e luogo e durata della prestazione stessa.
Bene? Insomma.
Intanto l'intervento è limitato, perché esclude del tutto i datori di lavoro non imprenditori (quindi, specularmente, proprio quei lavoratori per cui la disciplina era nata: colf, giardinieri, badanti, e in generale tutti coloro che svolgono servizi alla persona a domicilio) e limita fortemente la propria innovatività nei confronti degli imprenditori agricoli (cui è consentito di effettuare la comunicazione di inizio della prestazione con riferimento ad un arco temporale sino ai 7 giorni successivi, quasi che il "nero" debba essere consustanziale al lavoro nei campi).
Secondariamente, è evidente che la norma avrà la stessa effettività di una grida manzoniana, dal momento che molto difficilmente gli uffici si muoveranno autonomamente per controllarne il rispetto. La disposizione funzionerebbe in caso di estese denunce da parte dei voucheristi, i quali tuttavia - in un mondo ad elevatissimo tasso di ricatto (grazie al combinato disposto di mansioni spesso non qualificate, di quelle che piacciono tanto a Philippe Daverio, e di una disoccupazione giovanile che veleggia attorno al 40%) - molto probabilmente faranno buon viso a cattiva sorte.
Ma soprattutto, l'innovazione non coglie la sostanza del problema.
Sì perché, a mio avviso, resta aperta la questione della qualificazione della prestazione del voucherista, ulteriore rispetto a quella retribuita col voucher medesimo, come "lavoro nero". La nota del Ministero del Lavoro del 12 luglio 2013, n. 12695, chiarisce infatti che, "in merito all'utilizzo di prestazioni di lavoro accessorio comunicate preventivamente all'INPS/INAIL, ma in assenza di corresponsione di voucher per alcune giornate..., la mancata remunerazione di alcune giornate di lavoro non potrà dare luogo all'irrogazione della maxi sanzione [per lavoro irregolare], in considerazione dell'avvenuta comunicazione preventiva agli Istituti".
Non potrà dare luogo all'irrogazione della maxi sanzione.
Certo, la nota lascia aperta la possibilità di procedere alla trasformazione del rapporto "in quella che
costituisce la forma comune di rapporto di lavoro, ossia il rapporto di natura subordinata a
tempo indeterminato, con applicazione delle relative sanzioni civili e amministrative"; tuttavia questa possibilità è limitata "a quelle prestazioni rese nei confronti di una impresa o di un lavoratore autonomo secondo i canoni della subordinazione" e, comunque, richiede un'attività istruttoria e probatoria importante agli uffici.
Tracciare i voucher non serve a nulla. L'unica cosa da fare è abrogarli, o al limite riportarli entro ambiti molto ristretti, come quando furono creati dalla Legge Biagi. Il resto è un palliativo che non affronta lo scandalo di un rapporto di lavoro che non è neppure qualificabile come tale, che impone salti mortali legislativi e accertativi per irrogare le sanzioni, che - anche sotto la più occhiuta burocrazia - sarà sempre fonte di abuso, ricatto e sommerso.

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Dovete sapere che in Italia si tiene anche il Festival del Lavoro. Che poi sarebbe come se nel Sahara facessero il Festival della neve, ma tant'è. Per aggiungere danno alla beffa, quest'anno gli argomenti clou erano il "contratto a tutele crescenti" e il "nuovo art. 18" dello Statuto dei lavoratori: parlare di corda in casa dell'impiccato e vivere felici.
I seguaci del Barone Leopold von Sacher-Masoch si sono dunque potuti gustare un fantastico monitoraggio dell'Ufficio di Statistica della Fondazione Studi del Consiglio nazionale dell'Ordine dei Consulenti del lavoro, da cui emergerebbe che col contratto a tutele crescenti diminuiscono i licenziamenti (anche grazie agli incentivi statali, aggiungono... bontà loro) e un intervento illuminante del prof. Antonio Vallebona.
Quest'ultimo ha nuovamente scoperto la ruota sottolineando come il Jobs Act semplicemente si ponga nel solco di una rivoluzione già anticipata dalla Fornero - ne abbiamo parlato qui - e come entrambe questi atti normativi non si preoccupino tanto della liceità o meno del licenziamento, quanto della mera predeterminazione del risarcimento dovuto al lavoratore.
Tipo Codice di Hammurabi: "Qualora un medico esegua una seria operazione su un asino od un bue, e lo uccida, pagherà al proprietario un quarto del suo valore".

* * * * *

Oltre al Festival del Lavoro esiste anche il Festival dell'economia (ma limitarsi alla Sagra della salsiccia, no?).
Un palcoscenico importante, utile - in questo caso - per rilanciare un tema tanto caro ai liberisti de' noi altri: l'attacco al buon vecchio CCNL. Il tema della tavola rotonda tra Andrea Ichino (in secondo grado di meritocrazia con Pietro), Tito Boeri e Enrico Moretti aveva un titolo che era tutto un programma: divari territoriali e contrattazione: quando l'uguale diventa disuguale.
La questione è vecchia. Ne abbiamo già parlato qui. Ne hanno inoltre parlato in un ottimo articolo Marta e Simone Fana, i quali, fra l'altro, fanno la seguente osservazione: con proposte di questo tipo "viene svuotato di fatto il principio della solidarietà fiscale, che aveva costruito la base dello stato sociale, rovesciando la funzione del fisco da garante dell’esercizio dei diritti costituzionali (salute, istruzione, accesso ai beni pubblici) a guardiano degli interessi dell’impresa. La richiesta di rovesciare i meccanismi redistributivi a vantaggio degli interessi forti è un suggerimento al governo a continuare quella politica di riforme, a quanto pare solo abbozzata con il Jobs Act e la proposta di riforma della Costituzione. La prospettiva assume quindi i tratti di un tentativo di ridefinire un nuovo impianto costituzionale, che prevede la 'messa a valore' del pubblico e lo spostamento dell’esercizio della sfera di giurisdizione dallo stato al mercato, il solo che competerà nella definizione dei diritti stessi dei cittadini".
Si tratta di un punto molto importante, ma mi sembra detto veramente molto bene, e dunque non ci torno. Rimando soltanto ai "mandanti" di questo modo di (non) concepire lo Stato, e lascio a voi riflettere su quali conseguente si possano trarre dal fatto che i sicari siano professori - e politici - che si professano di sinistra.
Io, più modestamente, vorrei (ri)fare solo qualche osservazione ulteriore.


Primo. Mi pare assolutamente disonesto, dal punto di vista intellettuale, presentare come "proposte" quelle di Ichino & soci. In realtà, la questione è da tempo nell'agenda dei governi, ed anzi siamo già molto avanti nello scardinamento del CCNL. Però i giornaloni ne iniziano a parlare solo ora, in modo dubitativo, come fosse la paturnia di qualche esperto, tanto siamo d'estate. Si tratta del noto metodo Juncker: sparo il ballon d'essai, guardo le reazioni, poi vado avanti.
Ricordo infatti due normicine presenti nel nostro corpus normativo.
L'art. 51 del D. Lgs. n. 81 del 2015 (made in Renzi) dispone testualmente che "salvo diversa previsione, ai fini del presente decreto [che regola alcune bagatelle come il lavoro a tempo determinato, part-time, flessibile, apprendistato, ecc.], per contratti collettivi si intendono i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria".
Cioè: questi (nazionali) e quelli (territoriali) pari sono.
Ma non basta.
Mi risulta infatti sempre in vigore l'art. 8, D.L. n. 138 del 2011 (made in Berlusca): "i contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale... possono realizzare specifiche intese... finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all'adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all'avvio di nuove attività. Le specifiche intese di cui al comma 1 possono riguardare la regolazione delle materie inerenti l'organizzazione del lavoro e della produzione con riferimento:  ...; b) alle mansioni del lavoratore, alla classificazione e inquadramento del personale; .... Fermo restando il rispetto della Costituzione, nonché i vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro, le specifiche intese... operano anche in deroga alle disposizioni di legge che disciplinano le [succitate] materie... ed alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro".
Cioè: se anche il contratto territoriale deroga in peggio al nazionale, pazienza. Si applica lo stesso.

Secondo. Come al solito, si cerca di curare una crisi di domanda agendo dal lato dell'offerta.
Le imprese italiane vendono poco, dunque hanno problemi economico-finanziari che incidono anche sulle loro scelte di investimento e, in ultima analisi, sulla loro produttività? Potremmo incrementare il potere di acquisto dei loro potenziali clienti e dunque la domanda aggregata... No! Siccome i caffè che facciamo restano tutti sul bancone, risolviamo facendo più caffè (eventualmente, a un costo un pochino meno elevato). Si tratta della famosa legge dell'offerta e dell'offerta.
Non può d'altronde essere che così, almeno nella mente dei nostri governanti. Menti che, per inciso, producono questo.

Terzo. In buona sostanza, quello che intende dire Ichino è che, siccome Nord Italia e Sud Italia utilizzano la stessa moneta, ma la produttività del Nord Italia è superiore a quella del Sud Italia, per rendere competitive le imprese del Mezzogiorno è necessario ridurre il costo del lavoro sotto Roma. Bisogna cioè pagare meno i lavoratori meridionali.
Vi ricorda qualcosa? Provate a sostituire alla frase di cui sopra la parola "Italia" con la parola "Europa". Forse vi aiuta.
Tra diversi Paesi, d'altronde, non c'è neppure bisogno di una legge. Basta la disoccupazione, come dimostra questo recente post.


E che sia così non lo dico io, e nemmeno Bagnai. No, lo dice la BCE, e lo dice - per l'esattezza - dal 5 agosto 2011, quando Mario Draghi e Jean Claude Trichet mandarono al Silvione nazionale una simpatica letterina. Riporto alcuni brani particolarmente significativi: "caro Primo Ministro, il Consiglio direttivo della Banca centrale europea (Bce) il 4 agosto ha discusso la situazione nei mercati dei titoli di Stato italiani. Il Consiglio direttivo ritiene che sia necessaria un'azione pressante da parte delle autorità italiane per ristabilire la fiducia degli investitori.  Il vertice dei capi di Stato e di governo dell'area-euro del 21 luglio 2011 ha concluso che «tutti i Paesi dell'euro riaffermano solennemente la loro determinazione inflessibile a onorare in pieno la loro individuale firma sovrana e tutti i loro impegni per condizioni di bilancio sostenibili e per le riforme strutturali». Il Consiglio direttivo ritiene che l'Italia debba con urgenza rafforzare la reputazione della sua firma sovrana e il suo impegno alla sostenibilità di bilancio e alle riforme strutturali... Nell'attuale situazione, riteniamo essenziali le seguenti misure...: b) ... riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello d'impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende e rendendo questi accordi più rilevanti rispetto ad altri livelli di negoziazione... Vista la gravità dell'attuale situazione sui mercati finanziari, consideriamo cruciale che tutte le azioni elencate nelle suddette sezioni 1 e 2 siano prese il prima possibile per decreto legge... Sarebbe appropriata anche una riforma costituzionale che renda più stringenti le regole di bilancio. Confidiamo che il Governo assumerà le azioni appropriate. Con la migliore considerazione, M.D. e J.-C.T.".
Serve altro?

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