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venerdì 8 aprile 2016

Colpirne uno per educarne diciassette (ovvero: la BCE e la rivoluzione)


Mentre lo zio Sam, in versione Giucas Casella, tirava fuori dal Panama (invece che dal cilindro) il coniglio della "corruzione selettiva", e mentre da noi l'ennesimo conflitto di interessi (pur in assenza di Cavaliere, che strano!) faceva dimettere l'ennesimo ministro, nell'indifferenza generale le banche italiane hanno vissuto l'ennesima settimana di Passione. E sì che è già passata la Pasqua e pure la domenica in albis.
Sotto certi aspetti, siamo allo psicodramma collettivo; il bazooka di Draghi, che doveva fare chissà quale miracolo, al massimo potrebbe essere usato per il definitivo harikiri... (o seppuku, come dice la mia amica giapponese). Matteo, ovviamente, non ci bada e fa approvare senza fare una grinza la sua disgraziata riforma delle BCC (che, dopo le modifiche parlamentari, a me sembra quasi peggio di prima...: sarà che le coop. che scelgono la way out mi ricordano tanto le fondazioni bancarie). Secondo lui, d'altronde, il sistema è solido. A Milano la pensano diversamente: si è iniziato così...
e si è finito così...
Paiono ripresentarsi i fantasmi di gennaio, quando le pessime decisioni di fine anno del nostro governo (la risoluzione anticipata delle 4 banche) e l'entrata in vigore del bail-in avevano scatenato il panico a livello europeo (fino a quando il contagio non ha raggiungo il buco con la banca intorno e la BCE, dall'alto della sua autonomia, ha steso il cordone sanitario... ma per questo vi rimando alla TL di Claudio Borghi:
che lo spiega in stampatello).

Adesso si ricomincia. Ma perché ora? E perché l'epicentro è di nuovo in Italia?
Secondo un noto scienziato del credito (recentemente sceso da Marte e, pertanto, mai coinvolto nella gestione nelle partite bancarie degli ultimi vent'anni), è tutta colpa di qualche mela marcia.
Ora, in questo discorso (come in tutti i discorsi falsi, d'altronde) c'è del vero. Le banche venete creano nervosismo: Popolare di Vicenza e Veneto Banca hanno lanciato due aumenti di capitale apprezzati come l'Uomo Nero - d'altronde il gioco viene da lì -, uno dei quali, soprattutto, se non sarà fatto slittare, potrebbe creare qualche guaio anche ai ratio di Unicredit . Carige e Mps sono veramente messe male: in particolare, la situazione del Monte, soprattutto dopo che Viola ha ammesso che di fusioni non se ne parla, appare alquanto precaria.
Ecco allora che si riaffaccia la mitologica "soluzione di sistema", quelle tanto amate dai liberisti a senso unico (che poi è quello, ovviamente, che va a pro loro):

Soluzione, neanche a dirlo, allucinante.
Le banche più solide (?), le fondazioni bancarie (già azioniste delle sullodate "banche più solide"), forse qualche compagnia assicurativa (si può presumere Generali e Unipol) e CDP dovrebbero creare un nuovo veicolo da almeno 3 miliardi per l'acquisto dei crediti problematici degli istituti più esposti (magari utilizzando, per ridurre le perdite derivanti dalla cessione, l'aiuto - invero quasi nullo - della GACS) . Inoltre, siccome le relative vendite impatterebbero sul capitale degli istituti cedenti, il medesimo veicolo - o i suoi soci - dovrebbe sostenerne i connessi aumenti di capitale (quanto meno per la parte di inoptato). Dal che si capisce come mai alcune notizie di stampa hanno parlato di dotazione fino a 7 miliardi di Euro (da trovarsi, presumibilmente, anche mediante emissioni obbligazionarie per il pubblico).
Infatti: 1,75 miliardi per la Popolare di Vicenza, 1 miliardo per Veneto Banca, 500 milioni per Carige fanno, largo circa, 3 miliardini tondi. Poi però c'è UBI, con un tasso di copertura delle sofferenze che è metà di quello richiesto dalla BCE (che c'entra lo spiego sotto) e, finalmente, il buco nero Mps, che a voler credere ai giornali vale da solo altri 3 miliardi. Tre e tre sei e una sette. Primiera.
Bene.
Andiamo avanti.
L'ho già detto. Mi ripeto. Spero si capisca.
Le banche italiane, neppure Intesa o Unicredit (che - tra l'altro - saranno sollecitate non poco dall'azzeramento perpetuo dei tassi), si possono permettere di immettere tanti capitali freschi in altre banche italiane, meno che mai in banche grandi come Montepaschi (a sua volta alle prese, non bastasse il resto, con la discesa dei tassi): ne va dei ratio patrimoniali richiesti dalla BCE. Pensare a una fusione è addirittura demenziale, a meno che non siano state nel frattempo abolite le norme antitrust (oltre al fatto che una fusione con Mps creerebbe un avviamento negativo talmente alto da prosciugare il patrimonio di qualsiasi Istituto). Le assicurazioni possono intervenire, ma necessariamente in quote minoritarie (anche per motivi di vigilanza prudenziale). Resta la CDP, che o interviene poco (e allora non serve a nulla, salvo forse a sistemare le partite di Carige e di Vicenza, così da togliere il vin dai fiaschi a Intesa e Unicredit) oppure interviene in forze (e allora il progetto lo boccia la Commissione Europea). Infine, l'idea che il mercato finanzi a debito gli aumenti di Mps o di UBI, mi sembra surreale.
I giornali queste cose le sanno, ma non le scrivono. I mercati sono già in fibrillazione, come se da questa operazione venisse la salvezza perenne del sistema bancario. Può essere. Secondo me, a volte andrebbe rispolverato il reato di aggiotaggio.
Se poi fosse vero, come fa intendere Camilla Conti, che parte di questa Armata Brancaleone sarà anche il fondo privato della fondazione privata di Guzzetti... 

Tutto qui? Sarebbe già parecchio, ma no. Le cose sono un po' più complicate.
La Commissione Europea e la BCE - due noti organi indipendenti - stanno scientemente portando avanti un piano di destabilizzazione del sistema creditizio italiano.
Che, fino a qualche anno fa, era effettivamente più solido di quello di altri Paesi europei e anche per questo non aveva bisogno di far ricorso ad aiuti di Stato.
Oggi va di moda ritenere i nostri politici dei mentecatti, perché si sono fatti sfuggire la possibilità di ricapitalizzare con soldi pubblici gli Istituti di credito quando lo hanno fatto Stati Uniti, Germania, o Regno Unito; quello che si dice meno è che queste ricapitalizzazioni sono avvenute quasi tutte fra il 2008 e il 2012, mentre il problema vero delle banche italiane - le sofferenze - è iniziato ad esplodere in modo preoccupante più tardi, dal 2011, quando il governo in carica era azzoppato da uno spread fuori controllo e dalle comari del "Fate presto!", fino ad essere sostituito a favore dell'illuminata politica di distruzione della domanda interna inaugurata dal Monti e proseguita coi due statisti successivi, quello attuale compreso (il quale sta, ultimamente, cercando di redimersi; infatti durerà ancora poco).



Bene, in questo contesto, le ineffabili autorità europee:
- hanno imposto la "risoluzione" delle quattro banche a dicembre - addirittura vietando l'intervento del Fondo di garanzia dei depositi (probabilmente al grido: non facciamo quello europeo, non potete usare quello italiano!, con conseguenze enorme dal punto di vista sistemico, come si accorgono ultimamente anche in Banca d'Italia... devono aver iniziato anche lì a leggere goofynomics) - e, in quel contesto, ha voluto una valutazione esageratamente prudenziale del tasso di recupero dei crediti problematici delle stesse;
- hanno richiesto (iniziando a inviare a questa o quella banche quelle che un analista, l'altro giorno definiva random letter) tassi di copertura delle sofferenze particolarmente elevati, soprattutto scollegati dal sistema concettuale con cui, pochi mesi prima, erano stati portati avanti gli stress test delle medesime banche;
- per autorizzare le fusioni (imposte dalla medesima BCE), hanno iniziato a domandare sostanziosi aumenti di capitale (tanto che molti hanno intuito la creazione di una specie di soglia ufficiosa dei crediti problematici netti rispetto agli attivi delle banche italiane).
Tutto questo ha minato la fiducia dei risparmiatori nel sistema ed ha messo in confusione gli operatori professionali. Le clamorose perdite di valore di Banco Popolare e della Popolare di Milano si spiegano in questo modo. Il problema è che si tratta di perdite auto-alimentanti: a questi prezzi l'aumento di BP sarà iperdiluitivo, motivo in più per seminare sconcerto.

Detto in altri termini: il sistema bancario italiano nel suo complesso è molto meno solido che in passato. Vi sono alcune situazioni anche gravi, Mps su tutte. I regolatori però, invece di cercare di risolverle, le acuiscono scientemente, creando una situazione che potrebbe provocare il collasso del sistema.

Sì, ma perché?
Si potrebbero dare mille risposte.
Io ne do una.
Qui la questione vera, politica, non è rappresentata dalle sofferenze. Qui si tratta, ma guarda un po', del problema dei Titoli di Stato in pancia alle banche italiane, di cui ci siamo già occupati in passato. In sostanza: la BCE - o, se si vuol essere più precisi, l'SSM nel suo complesso - briga, con le scuse più improbabili, per aumentare la capitalizzazione degli istituti, in modo da avere le mani più libere quando la questione vera sarà affrontata di petto. La riduzione fino a non più del 25% del capitale la quota di Titoli di Stato detenuti dalle banche comporterebbe infatti, come minimo, una riduzione immediata e significativa dei margini di interesse (e, se le cose andassero molto male, anche significative minusvalenze). D'altronde, se non ci piegheremo all'ennesimo diktat, continuerà a pesare il veto tedesco alla mutualizzazione europea dei fondi di garanzia dei depositi (di cui noi, a quel punto, probabilmente non avremo più bisogno, ma che sarà necessario per l'affidamento dei risparmiatori).

Non è che ci vogliono male. Semplicemente, ci impongono di fare quello che chiedono. Se ci adeguiamo, non ci sarà nessuno scontro. Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant.

P.S.: E così abbiamo fatto il punto sulla situazione bancaria italiana. Ora dobbiamo per forza studiare anche quella tedesca... ne va dell'onore! Vero, Marco Mercanzin?
(Tra l'altro, forse, studiare il sistema tedesco mi potrebbe chiarire cosa impedisce a un socio che abbia il 7% di una grande banca nazionale di incrementare significativamente la sua quota sottoscrivendo a prezzi di mercato tutto l'inoptato di un significativo aumento di capitale, senza invenzioni assurde di maxi-fondi, super-garanzie, et similia).

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