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venerdì 29 aprile 2016

Nuove da Atlant(id)e

Dunque ora è ufficiale.
I famosi 6 miliardi di Euro di Atlante sono in realtà 4,25. Per cui - siccome nessun partecipante può detenere oltre il 20% del fondo, pena applicazione delle norme sulle minorities - sia Intesa che Unicredit ci metteranno più o meno 850 milioni e non il miliardino promesso.
La leva è praticamente inesistente. Che, tradotto in italiano comune, significa che questa è la mostra e questa è la balla.
Chi se li prende questi soldi? A occhi, direi che un paio di miliardini vanno per la Popolare di Vicenza e per Veneto Banca.
Ah, tanto per cominciare...
L'acquisto di NPL non sarà invece superiore al 30% delle disponibilità del fondo, cioè un miliardo e mezzo. Resta un miliardo per altri aumenti di capitale. L'indiziato secondo me è UBI (magari nel quadro di un'operazione di derecognition di crediti deteriorati, per assorbire le perdite da cessione). Per Mps (nome a caso) servirebbe tre volte tanto...

Sempre a proposito di NPL. La potenza di fuoco del fondo è molto limitata; inoltre - posto che si ritiene di poter utilizzare, come leva, soprattutto la GACS - gli acquisti saranno soprattutto su tranche senior invece che su quelle junior o mezzanine (lasciate, immagino, ad operatori di mercato in qualche modo collegati al fondo, tipo le Compagnie Assicurative... ce le vedo).
Volendo fare due conti, si può pensare che, anche con la leva di GACS, Atlante non acquisti più di una quindicina di miliardi di Euro di sofferenze nette (meno di quaranta lordi, contro i sessanta previsti), a meno di ulteriori interventi privati che, francamente, paiono poco probabili.
In questo contesto, è evidente che Atlante, anche se mitologicamente di spalle grosse, avrà una certa difficoltà a sostenere il mercato degli NPL, soprattutto laddove si verifichi quanto vaticinato (con molta cognizione di causa) da Charlie Brown in questo post di goofynomics.
Poi c'è il problema della governance. Da un lato c'è da assicurare che le decisioni siano presi da soggetti privati e non dal soggetto pubblico; dall'altro, bisogna evitare situazioni di più o meno palese conflitto di interesse fra banche venditrici e banche (via Atlante) acquirenti.
Infine, c'è la questione - in un sistema capitalistico ovviamente molto secondaria - dei ritorni attesi. I quali paiono, a dir poco, un po' bassini (per non dire improbabili).
Atlante.
Troppo piccolo per funzionare.
Troppo grande, e autoreferenziale, per non essere (potenzialmente) dannoso.

Per connessione di materia, avrebbe detto il mio professore di diritto, avrei voluto aggiungere due righe sul decreto banche di quel poraccio che ci comanda. Ma la conferenza stampa è talmente stomachevole, che la commento domani, punto per punto.

mercoledì 27 aprile 2016

Togliere spazi di democrazia: la legge sul Terzo Settore e le Banche popolari

E anche questo 25 aprile è passato. Le nostre Autorità hanno portato all'Altare della Patria la corona di fiori di prammatica (prima delle 20,30, pare, cosa un po' inusuale per il nostro Presidente della Repubblica). Di considerazione da fare ce ne sarebbero tante.
Sulle insanabili (ma neppure percepite) contraddizioni tra festeggiamenti della Resistenza e adesione entusiastica a un sistema economico e legislativo di stampo sovranazionale che svuota completamente il senso profondo della Costituzione nata da quell'esperienza storica.
Sul fatto che un movimento di riappropriazione della storia nazionale contro il dominio dell'ex alleato divenuto nemico sia sfociato in un progetto di unificazione continentale non paritario, ma fortemente sbilanciato a favore delle mire egemoniche di un unico Stato (sempre lo stesso, peraltro).
E così via. Sul concetto stesso di democrazia e sul suo sostanziale svuotamento, si è esercitato con la consueta puntuta lucidità Il Pedante in un suo recente post. Riporto qui un passaggio, in cui si mostra con chiarezza quanto profondamente sia stato introiettato il falso nesso (falso, certo, ma caro alle élites) tra democrazia e inefficienza.


Ecco, meditare queste righe mi ha dato una spinta in più a commentare un disegno di legge, forse meno importante di altri (d'altronde, questo è il governo del Jobs Act, della Buona scuola, della Deforma costituzionale), ma che fa un po' da bussola rispetto ai veri "valori" perseguiti dall'attuale classe dirigente, in rapporto ai "valori" (costituzionali) meramente dichiarati.

Si tratta della legge delega di riforma del terzo settore, recentemente approvata al Senato e ora al vaglio della Camera (l'ultimo testo è questo).

Come molte leggi recenti, tipo quelle citate sopra, si introducono norme assolutamente condivisibili (da utilizzare nei tweet del Caro Leader e del suo p.r.), che fanno da contorno al cuore dell'articolato, che è invece spesso volto a scardinare dal profondo questo o quell'istituto giuridico.
Nel nostro caso, il "cuore" è rappresentato dall'art. 6, relativo alla nuova impresa sociale.
L'impresa sociale, fino ad oggi, è un'impresa commerciale che svolge la propria attività in determinati campi economici aventi specifica utilità sociale, ovvero in qualsiasi ambito commerciale o industriale ove impieghi almeno il 30% di lavoratori svantaggiati (D. Lgs. n. 155 del 2006). Una specie di cooperativa, insomma, senza però voto capitario (cioè "per teste", anziché per "quote partecipative") ma con un problemino di non poco conto, cioè il divieto assoluto di ripartizione degli utili.
Le imprese sociali non sono mai decollate (perché normalmente attrae molto di più il sostantivo dell'aggettivo collegato). Però il terzo settore potrebbe essere un ambito molto lucroso, che è un peccato non poter colonizzare al meglio.
Ce lo ricordano anche quei filantroponi di Ernst & Young.
Ecco allora che ci si inventa un'intera legge in cui, tra mille altre cose, si delega il governo al riordino e alla revisione della disciplina dell'impresa sociale, qualificandola, inter alia, "quale organizzazione privata che... destina i propri utili prioritariamente al conseguimento dell’oggetto sociale...".
Siccome però "prioritariamente" significa un po' tutto e un po' nulla, ecco, poco sotto, la specifica: il decreto delegato deve prevedere "forme di remunerazione del capitale sociale che assicurino la prevalente destinazione degli utili al conseguimento dell’oggetto sociale, da assoggettare a condizioni e comunque nei limiti massimi previsti per le cooperative a mutualità prevalente".
Traduco.
Fate un'impresa non cooperativa. In un'impresa non cooperativa si vota per quote sociali e non per teste (dunque uno non vale uno, ma d'altronde questo non è vero neppure nel Movimento 5 stelle). Meno che mai votano quei rompipalle dei lavoratori.
Poi esercitate una delle attività che saranno stabilite dal decreto, oppure assumete un certo numero di disabili, così neppure pagate le tasse.
Certo, dei begli utili che farete, ne potrete però distribuire sotto forma di dividendi soltanto una parte (in misura pari al 7,5% del capitale versato nel 2013, al 6,0% del capitale versato nel 2014, al 5,0% nel 2015: il dividend yield di Intesa - per dire - è del 5,7%, quello di Eni del 4,2%).
E vissero tutti felici e contenti.
Anche i 5 stelle, ché così ci sarà meno corruzione.
(Tra parentesi: queste fantomatiche imprese sociali spesso lavorano in campo socio-sanitario. Dove non arriva il pubblico, appaiono loro. In convenzione o meno. Quando vi parlano degli sprechi del Servizio Sanitario Nazionale, delle inefficienze, della necessità di ridurne l'ampiezza a favore "del privato", prima dell'urlo belluino "se so' magnati tutto!" - (c) Bagnai - riflettete sull'alternativa, a chi giova, e a chi gioverà di più domani).

Il decreto sulle Popolari, cui si riferiva Il Pedante nell'estratto riportato sopra, unitamente alle disposizioni sul bail-in e alle random letter (secondo la definizione di alcuni analisti; traduzione italiana: lettere a cazzo) mandate dalla BCE a questo o quell'istituto, hanno prodotto lo stesso risultato.
Prendiamo la fatidica Popolare di Vicenza, che con ogni probabilità verrà ricapitalizzata dal Fondo Atlante a 0,10 Euro ad azione (ne parla diffusamente, e bene, questo post di icebergfinanza).
Si tratta dell'ennesimo aumento extradiluitivo che interessa le aziende italiane: dopo Mps (che in queste cose non manca mai) e dopo Saipem.
Per chi non lo sapesse, extradiluitivo significa questo:



In altri termini: le nuove azioni sono emesse ad un prezzo talmente basso (ma quelli fichi dicono, con un tale sconto sul TERP) che quelle in circolazione perdono quasi integralmente di valore, per cui gli azionisti della società o mettono soldi freschi, che spesso non hanno (o non vogliono più mettere in un cadavere), oppure vedono il valore del proprio investimento sostanzialmente azzerarsi (a meno di non riuscire a vendere i diritti di opzione a valore teorico, eventualità con probabilità molto vicina a zero, o le azioni stesse, cosa tecnicamente molto difficile in quanto a certe condizioni potenzialmente remunerativa, come spiego sotto).
Si riduce il flottante, o addirittura si azzera, e ci si toglie di torno a prezzo relativamente basso un sacco di rompiballe. Il capitalismo perfetto.
Ma non basta. A volte le manine di chi sa come funzionano certi meccanismi sono talmente abili da guadagnare anche sulle disgrazie (altrui).
Ecco cosa dice Consob con la consueta nonchalance: "vista la notevole riduzione del prezzo ex, a parità di ammontare monetario investito, il numero di azioni che è possibile acquistare si incrementa
notevolmente. Poiché il numero di azioni in circolazione è però pari all'ammontare pre-aumento,
ciò può generare un eccesso di domanda sull'offerta e quindi un incremento del prezzo". Si chiamano "anomalie rialziste", amplificate dal fatto che, sempre secondo Consob, "alcuni investitori potrebbero essere indotti ad acquistare il titolo confidando nel fatto che il prezzo salirà ancora e loro potranno quindi 'sfruttare' il trend rialzista...". Infine, "se, a seguito dell’anomalo trend rialzista..., il prezzo del titolo supera gli strike price delle opzioni call in essere, chi ha comprato tali strumenti derivati trova conveniente esercitarli. Chi ha venduto opzioni e viene esercitato dalla controparte quasi certamente non possiede un numero sufficiente di azioni da consegnare, in quanto il lotto di ciascun derivato è stato incrementato a seguito dell’avvio dell’aumento, ed è quindi costretto a comprare i titoli mancanti sul mercato alimentando così il trend rialzista...".
(Per una spiegazione più approfondita, v. qui).
Bene? No, male. Perché la compravendita di piccole quantità di azioni sul mercato diviene difficilissima (ma tanto, dice Consob, per il futuro famo er rolling), mentre le grandi banche d'affari si rivolgono ai grandi azionisti per porre in essere operazioni, assai remunerative, di prestito titoli. E tanti saluti alla trasparenza e alla parità di trattamento.
La tabella, sempre Consob, spiega tutto.
L'amorale della favola è sempre la stessa.
Le asimmetrie legislative, o informative, o tecnologiche comprimono in ogni ambito economico gli spazi di democrazia intesa in senso lato (talvolta detta concorrenza, talvolta libero mercato, talvolta giustizia).
E lo fanno passare, con il consenso di tutto, come libera impresa.

martedì 19 aprile 2016

#Fate presto! Anche nell'immobiliare

Dunque, facciamo un po' mente locale.

Ripartiamo da giugno 2015. Tutte le modifiche sono a mezzo decreto legge.
Lesione del diritto di difesa del debitore: il nuovo art. 2929-bis, c.c., ammette l'esecuzione forzata su beni immobili anche se sottoposti a vincolo di indisponibilità (o oggetto di alienazione a titolo gratuito), senza la preventiva sentenza dichiarativa di inefficacia del vincolo o del trasferimento, laddove il vincolo sia sorto successivamente al sorgere del credito e se il pignoramento è stato trascritto entro un anno dalla data in cui l'atto stesso è stato trascritto. La possibilità è concessa anche ai creditori anteriori se, entro un anno dalla trascrizione dell'atto pregiudizievole, intervengono nell'esecuzione promossa da altri.
Informatizzazione, privatizzazione  e ipervelocizzazione delle procedure esecutive: le aste di beni immobili si effettueranno online sul portale unico delle vendite pubbliche e la pubblicità - a cura di un professionista - sarà obbligatoria, a pena di estinzione della procedura. Il termine di deposito dell'istanza si riduce a 60 giorni, mentre il giudice - nel fissa il numero, non inferiore a tre, degli esperimenti di vendita - determina anche il prezzo d'asta, da agganciare a quello di mercato del bene. Poi, per essere proprio sicuri che ci sia qualcosa da vendere, si permette ai creditori di accedere alle diverse banche dati anche pubbliche, rivolgendosi direttamente ai gestori.
(Apro parentesi. Ecco dov'è finito il ruolo degli intellettuali. Affermato notaio, professore alla Pontificia Università Lateranense, scrive tweet come questo:
chiusa parentesi).

Febbraio 2016. Un altro decreto legge.
Agevolazioni alle banche ad acquistare e rivendere gli immobili oggetto di esecuzione: l'art. 16, D.L. 14 febbraio 2016, n. 18, mod. con L. 49 del 2016, è sostanzialmente uno stimolo fiscale al capitale privato ad avviare attività di investimento nel settore immobiliare a scopo speculativo. La cessione di beni immobili a favore di soggetti che svolgono attività d'impresa nell'ambito di una procedura giudiziaria di espropriazione immobiliare sono assoggettati alle imposte di registro, ipotecaria e catastale nella misura fissa di 200 euro ciascuna a condizione che l'acquirente dichiari che intende trasferirli entro due anni.
(Di questo, e di quello che viene subito dopo, ne ho parlato diffusamente qui. Riporto comunque un tweet assai interessante, per capire la genesi di certe norme di legge
Il popolo, si sa, è sovrano).

Secondo un recente rapporto Cerved, queste norme dovrebbero porta, una volta a regime, ad una riduzione del 28% dei tempi di risoluzione dei fallimenti e del 20% della durata delle esecuzioni immobiliari. Secondo Banca d'Italia, l'impatto potrebbe essere ancora più rilevante. Eppure alle banche non basta. 

Marzo 2016. Arriva in Parlamento, per i pareri di prammatica, un decreto legislativo di recepimento di una Direttiva UE.
Una delle norme (vedi) prevedeva l'introduzione nel TUB dell'art. 120-quinquiesdecies, con sostanziale abrogazione del patto commissorio per i mutui garantiti da ipoteca su immobili residenziali: "le parti del contratto [notoriamente sullo stesso piano: N.d.R.] possono convenire espressamente, al momento della conclusione del contratto di credito [cioè del mutuo: N.d.R.] o successivamente [cioè da ora in poi, anche sui mutui che avete già acceso da chissà quando: N.d.R.], che in caso di inadempimento del consumatore [cioè vostro: N.d.R.] la restituzione o il trasferimento del bene immobile oggetto di garanzia reale [casa vostra: N.d.R.] o dei proventi della vendita del medesimo bene comporta[no] l'estinzione del debito, fermo restando il diritto del consumatore all'eccedenza. Il valore del bene immobile oggetto della garanzia è stimato da un perito scelto dalle parti di comune accordo con una perizia successiva all'inadempimento...".
(Parentesi. Con il riconoscimento del "diritto del consumatore all'eccedenza" si è voluto poter sostenere che non si tratta di una legalizzazione del patto commissorio, ma soltanto di una riaffermazione della legittimità del patto marciano. Una foglia di fico).
Il Fatto Quotidiano si accorge per primo dell'importanza della questione e lancia l'allarme.
Lo schema di decreto si impantana, sommerso dalle proposte di modifica.
(Altra parentesi. Il sito bufale.net ritiene che l'allarme per questa disposizione sia ingiustificato. Secondo loro, infatti, l'immediato trasferimento di proprietà dell'immobile senza necessità di procedura esecutiva è un dettaglio, mentre il fatto che la pattuizione possa essere inserita anche nei contratti in essere un nonnulla, dovendo essere accettata dal debitore. Non bastasse questo, vi si legge anche che "l’atto del Governo... dovrà comunque essere approvato in seconda battuta dal Parlamento", probabilmente riferendosi al parere non vincolante delle commissioni parlamentari: per l'iter v. qui. Propongo di modificare il nome del sito).
Il 20 aprile il C.d.M. approva finalmente lo schema di decreto. Il numero minimo di rate non pagate per procedere all'esproprio sale da 7 (art.40, TUB) a 18; è eliminata la possibile retroattività della disposizione; si prevede la possibilità che le parti si accordino affinché l'esproprio comporti liberazione del debitore anche nel caso in cui il valore effettivo di questo sia inferiore al debito residuo (datio in solutum).
Insomma, un brodino. E infatti...

Aprile 2016 (il malato è grave).
Arriva il fondo Atlant(id)e.
Si tratta, come è noto, di una iniziativa talmente privata che non soltanto è stata pensata al Ministero dell'Economia (sezione CDP) insieme al re delle operazioni di sistema, ma che addirittura - per funzionare un po' meglio - richiede un ulteriore intervento governativo via decreto legge. Ecco cosa si legge sul sito del governo con data 11 aprile: "nei prossimi giorni [ma si dovrebbe andare verso fine mese: N.d.R.] il Governo completerà il quadro delle misure che renderanno più semplici e veloci le procedure concorsuali e quelle di recupero dei crediti in modo da ridurre e rendere più prevedibili e rapidi i tempi di rientro. L’adeguamento ai migliori standard internazionali delle procedure concorsuali e fallimentari aiuterà a gestire meglio le crisi aziendali nell'interesse di tutti gli stakeholder".
Dotto', so' norme vecchie!
Gira che ti rigira, si batte sempre lì. Quanto è lenta questa giustizia, signora mia!
Banca d'Italia ha (ri)aperto le danze.
E poi, queste asta sono una noia, una perdita di tempo e soldi...
A rimorchio, arriva subito l'unico Salmonato non commestibile.



Lo stesso articolo del Sole24Ore spiega, in soldoni, quanto è importante rendere sempre più effettive le norme sull'esproprio immediato degli immobili, magari con l'ennesimo decreto legge: "il Governo sta anche valutando se permettere alle banche di escutere le garanzie (immobili e capannoni) senza passare dalle aste, che deprimono il prezzo. Oggi è vietato. Questo da un lato velocizzerebbe i tempi e salvaguarderebbe il valore delle garanzie stesse, dall'altro potrebbe però creare alcuni effetti collaterali. Il primo - sottolinea un banchiere - per gli istituti di credito stessi: «Le banche sanno gestire capannoni industriali difficili da vendere o case in quartieri dove non c'è mercato?». Il secondo è sociale: «Che impatto ha l'escussione veloce soprattutto sulle famiglie? - si chiede Bonissoni -. L'impatto sociale fino ad oggi è stato mitigato dalla lunghezza delle procedure, ma un domani potrebbe aumentare. Il rischio è che, prima o poi, bisognerà studiare altre forme di ammortizzatori sociali»".

ECCO UNA NUOVA DECLINAZIONE DEL "FATE PRESTO!". QUESTA VOLTA, PER PRENDERSI CASE (E, IN FUTURO, CAPANNONI), DA RIVENDERE SUBITO AL MIGLIOR OFFERENTE.

Infatti, soprattutto dopo le modifiche dello scorso anno, fa capolino anche nel sistema italiano un nuovo tipo di società, la REOCO (acronimo di real estate owned company).
Si tratta di una società immobiliare detenuta dagli stessi investitori che hanno partecipato alla operazione di acquisto del credito e che può partecipare alle aste di acquisto della garanzia del credito stesso, sia per stimolare gli intervenuti a rilanciare fino al raggiungimento dell’incasso previsto dal business plan di recupero, sia - eventualmente - per acquistare il bene, valorizzarlo e, in un anno o due (ma guarda un po'!) rivenderlo. L'investimento in NPL, in sostanza, si trasforma in operazione di valorizzazione immobiliare.
Banca Intesa è capofila in questo genere di operazioni.
Allora, è chiaro il motivo per cui è così importante approvare una norma che permette di evitare la procedura esecutiva? Si evitano un sacco di passaggi prima che la REOCO possa iniziare a valorizzare il bene.

Aggiungo un tweet. Mi è venuto in mente, così.

lunedì 18 aprile 2016

Referendum

Secondo me è andata molto male. L'affluenza alle urne, del 31,5%, è stata francamente assai inferiore a quello che avrei pensato.
"Chi perde 'un cogliona", si dice a Siena. Di converso, chi vince purtroppo sì. Ovviamente c'è chi lo fa con i pochi mezzi espressivi che possiede
chi invece con l'enorme spocchia (e faccia di bronzo, per limitarsi ai materiali nobili) che lo contraddistingue
ma il concetto è comunque il solito. Che poi è quello del Marchese del Grillo.



Comunque, tutto il male non viene mai per nuocere. Perché qualcosa lo insegna sempre.

La prima. Per tanti, troppi motivi che non è qui il caso di ricordare, l'istituto del referendum è un istituto squalificato di fronte a una certa percentuale di italiani. A questi si aggiungono coloro che, per un motivo o per l'altro, non votano mai, né ai referendum né alle elezioni. Dunque, raggiungere il quorum è fisiologicamente difficilissimo.
Non solo: i media (giornali e televisioni) giocano un ruolo molto importante, sia nell'oscurare - se lo ritengono opportuno - un referendum, sia nel creare confusione in relazione al quesito proposto... o ai risultati dell'eventuale abrogazione di questa o quella norma. Il che significa, ovviamente, che più il quesito è tecnico, più i media possono incidere sul risultato della consultazione.
Mi sembrano considerazioni abbastanza ovvie.
Bene.
Se le cose stanno così - e stanno così - mi chiedo a cosa miri un partito che vuole fare un referendum addirittura sull'uscita dell'Italia dall'Euro... referendum che, tra l'altro, per essere proposto imporrebbe una previa modifica costituzionale. (Per quelli come Carbone: ovviamente la domanda è retorica).
Tra l'altro, se ne vantano pure.
Dunque, primo risultato utile: questa è la prova provata - se non fosse bastato lo sconcio dell'elezione dei giudici costituzionali con il PD - che il M5s è un partito gatekeeper.

La seconda. Al referendum (che, come si è detto, non è stato in alcun modo discusso dai media e che, negli ultimi giorni, è stato abilmente trasformato da Renzi in un plebiscito nei suoi confronti) ha votato il 31%. Di coloro che si sono recati alle urne, quasi l'86% hanno votato per il sì.


In altri termini, il 26,77% degli elettori italiani vota contro questo governo a prescindere, per dirla come Totò.
Il che, in sostanza, comporta che Renzi, a ottobre, per vincere il referendum costituzionale, dovrà portare alle urne almeno un 60% buono degli elettori.
Il grafico qui sotto non lo dovrebbe far stare tranquillissimo.




C'è anche chi ha fatto un confronto in termini numerici assoluti.
Sì, perché è bene ricordare un cosa.

AL REFERENDUM COSTITUZIONALE NON C'È QUORUM, PER CUI IL GOVERNO NON PUÒ CONTARE SUL PARTITO DELL'ASTENSIONE, E - AL CONTRARIO CHE NEI REFERENDUM ABROGATIVI - PER VOTARE NO BISOGNA EFFETTIVAMENTE SCRIVERE NO, IL CHE SEMPLIFICA LA VITA DEI VOTANTI.

Lì si giocherà tutto. L'ha detto lo stesso Matteo.



Si giocherà tutto anche l'Italia.
La scelta sarà fra democrazia e schiavitù. Sarà necessario, sin da ora, che tutti noi ci impegniamo a fondo, come possiamo, in qualsiasi contesto (lavorativo, amicale, familiare) a far passare questo concetto, il più possibile. È vitale. Per noi. Per il nostro Paese. PER I NOSTRI FIGLI.


P.S.: Per quanto riguarda le polemiche sul costo del referendum (che - al contrario di quanto ritiene la Boschi - è un tantino differente da un sondaggio), provo lo stesso disagio del Pedante.

mercoledì 13 aprile 2016

Atlant(id)e

E così abbiamo fatto l'operazione "di sistema" (qui un post fondamentale sulla questione, da goofynomics).  Le ultime sono state - a memoria - Telecom e Alitalia, e ognuno ne conosce gli esiti. Ah, per chi non lo sapesse: come "riforme strutturali" significa norme per metterlo in tasca ai lavoratori (Alberto Bagnai dixit), "operazione di sistema" significa operazione con finalità prettamente politiche e non economiche, senza alcun fondamento finanziario e rigorosamente fuori tempo massimo.
Dunque, la distruzione della domanda interna perpetrata da Monti e i suoi fratelli (prima responsabile dell'esplosione dei crediti deteriorati delle banche nel nostro Paese), le regole sempre diverse e stringenti imposteci dalla BCE (ne abbiamo parlato qui e qui), la valutazione del valore di mercato delle sofferenze attorno al 20% del nominale invece che al 40% come risultano nei bilanci degli istituti (valutazione che ha portato al fallimento di Banca Etruria e all'aumento di capitale di Banco Popolare in vista della fusione con Popolare di Milano, oltre che all'offerta di Apollo a Carige), hanno messo il sistema finanziario italiano in perenne crisi sistemica.


In un anno chi è andato bene ha perso il 30%, chi è andato male è arrivato all'80% (la media è attorno al 40%, tanto per dire). Maglia nera, ovviamente, la "regina delle sofferenze" Montepaschi (il cui CDS - cioè il "termometro" del rischio fallimento di un emittente - è arrivato a 575 bps., rispetto ai 250 bps. circa di inizio anno). In più, la bad bank versione topolino partorita dalla montagna del Ministero dell'economia (la GACS)  non è servita ad accelerare la cessione a terzi dei crediti problematici e la connessa derecognition dei medesimi dai bilanci degli Istituti.
In questa situazione, ecco arrivare anche gli aumenti di capitale richiesti dalla BCE - con letterine come quella qui accanto - a Veneto Banca (un miliardo di Euro) e a Popolare di Vicenza (un miliardo e sette). Faccio notare che si tratta di due popolari trasformatesi per forza di cose, in tutta fretta, in società per azioni. Il che fa anche capire il motivo vero di una riforma a suo tempo spacciata come un tentativo generoso e visionario di modernizzazione della foresta pietrificata.
Ora, anche Matteo - che pure di solito non brilla per perspicacia - ha capito che:
(1) se questi due aumenti vanno in vacca, scatta non soltanto il bail-in dei due istituti, ma anche il panico dei risparmiatori di tutta la Penisola, con conseguente incremento del costo del funding per tutte le banche e, assai probabilmente, una vera e propria fuga dei depositi;
(2) non è ormai un segreto per nessuno che, senza interventi straordinari, questi due aumenti (quello della Popolare di Vicenza in primo luogo) andranno sicuramente in vacca.
Tra l'altro, Unicredit ha avuto l'ottima idea di garantire l'inoptato della Popolare di Vicenza: la sottoscrizione di tutto l'aumento comporterebbe, ovviamente, un assorbimento di capitale per la banca milanese talmente elevato da richiedere capitali freschi anche per la banca milanese. Si tratterebbe, a spanne, di circa 4 miliardi. L'effetto a catena è garantito.
Detto in altri termini:
cosa notoriamente impossibile (almeno secondo i cantori della moneta unica). Ecco dunque spiegata la nascita, in tutta fretta, di Atlante, cioè di un fondo che prende il nome da un tizio che ha passato la vita a tenere il mondo sulle spalle e, per ricompensa, è stato pure trasformato in pietra. Confortante, insomma.
Che deve fare Atlante?
Non i profitti: del fondo si è detto di tutto, ma la cosa più importante per un investitore - cioè i ritorni attesi - non erano stati indicati neppure nel documento informativo presentato in fretta e furia la settimana scorsa (che dovrebbe essere riservato, ma che tutti conoscono). L'ultima versione pare prevede un IRR attorno al 6%.
Deve, invece, assolutamente sottoscrivere gli aumenti di Popolare di Vicenza e di Veneto Banca, e infatti la dotazione del minima del fondo era di 3 miliardi (ora siamo a 4 miliardi e mezzo, dicono i bene informati). Poi, se ce la fa, deve anche comprare un po' di tranche junior di cartolarizzazioni di NPL, pagandole possibilmente attorno a 40c invece che a 20c, in modo da rivitalizzare un mercato asfittico.
Resta secondo me irrisolto il macigno Montepaschi, cui di certo non basta qualche cessione di crediti deteriorati. Certo, una cosa è se Atlante riesce a sbloccare, come mi pare più plausibile, una decina di miliardi di sofferenze, una cosa è se arriva a 20 miliardi, come scrive Il Sole.
Forse anche per questo il fondo apre uno spiraglio anche ad altre operazioni di ricapitalizzazione, ivi comprese operazioni di rafforzamento mediante emissione di strumenti ibridi (la risma peggiore di subordinati, in cui Mps ha già fatto la parte del leone con l'emissione, a suo tempo, del Fresh, strascichi giudiziari compresi). In mancanza di ulteriori soci da imbarcare, il fondo potrebbe andare a leva, ma l'indebitamento massimo - almeno a quel che consta - non è stato ancora stabilito. Come non è stata ancora stabilita, sempre a quel che consta, neppure l'esposizione massima su un solo investimento. Non sono chiari neppure i sottoscrittori: sicuramente Intesa (un miliardo) e Unicredit (un altro miliardo), qualche fondazione bancaria (tra cui per certo Cariplo e San Paolo con 100 milioni a testa), la CDP (mezzo miliardo). Altri? Altre fondazioni bancarie per 300 milioni (quali?), altre banche per 700 milioni (chi?), assicurazioni imprecisate (700 milioni).
Tutto chiaro.
Il Fatto Quotidiano non ha per nulla torto.
Qualche brevissima considerazione.

Uno. La costituzione in fretta e furia di un fondo del genere, per le motivazioni sopra esposte, è la più clamorosa ammissione che il governo potesse fare in ordine alla rischiosità intrinseca non di questo o quell'istituto, ma del sistema bancario nazionale nel suo complesso.
Se passa questo concetto, il fondo Atlante - invece di reggere il sistema bancario - finirà per affossarlo. Atlantide, più che Atlante.

Due. Io Padoan poraccio lo capisco. Lui cerca di fare del suo meglio. Dunque il nuovo mantra, già diffuso su tutti i mezzi di comunicazione, è quello di non dire, semplicemente, "Atlante", o "il fondo Atlante", ma di ribadire sempre "il fondo privato".
La curva, che non ha veramente cuore, si è scatenata.

Il problema, al solito, è quello di evitare di cadere nella trappola degli Aiuti di stato. Si ricorderà, sul punto, la dotta discussione:


la quale, nel frattempo, si è peraltro arricchita di qualche ulteriore importante corollario. Quello più interessante è ovviamente questo:
Comunque, siccome noi siamo sempre più realisti del re, abbiamo detto: "facciamo un fondo gestito da una SGR non statale, che costituisce un fondo chiuso cui aderiscono soggetti quasi tutti non statali, e almeno a 'sto giro non ci spaccheranno i marroni".
Giusto? Non è detto. Infatti, più volte la Commissione si è arrogata il diritto di interpretare in maniera molto ampia il concetto di "Aiuto di Stato", fino a concludere che rientra nella fattispecie qualsiasi intervento, anche apparentemente privato, non soltanto ove posto sotto il controllo pubblico (caso Tercas), ma anche ove lo stesso sia, in qualche modo "imputabile all'amministrazione statale", sulla base di una serie di indicatori sintomatici - non sempre chiarissimi - di origine giurisprudenziale (la pubblica amministrazione può interferire nella decisione, o la società privata che agisce ha in realtà una coloritura pubblicistica, o ancora detta società non agisce in un mercato concorrenziale, ovvero l'autorità pubblica ha il controllo sull'attività della società privata che agisce, e così via: CGCE, C-482/99, Stardust, §§ 54 e ss.; Trib. I istanza, T-358/94, Air France, §§ 57 e ss.).
Ora, mettiamo il caso che la buona Margrethe Vetsager decida di essere un po' più rigida del normale: cosa potrebbe accadere, visto che un principio fondante del sistema introdotto con la Direttiva BRRD è che, perché possano essere utilizzate risorse pubbliche, è prima necessario che vi siano perdite imposte ai creditori della banca? Accadrebbe, di nuovo, il bail-in degli istituti.
E tanti saluti a Atlante.
L'articolo apparso sul Financial Times di ieri non è molto tranquillizzante in questo senso. E neanche questo tweet.
Tre. A questo punto, sorge spontanea la domanda. Ma se la presenza di CDP crea tutti questi problemi, che c'è entrata a fare nel fondo? Un po', è inutile girarci intorno, per dare una specie di "garanzia statale" all'operazione, un po' anche perché, più di tanto, le banche private non ci possono mettere, pena il rischio di intaccare il loro stesso Capitale di vigilanza (CET1). Infatti, così come le partecipazioni incrociate fra banche comportano deduzioni dal CET1 (lo abbiamo visto sopra), ugualmente un ammontare di partecipazioni minoritarie superiore al 10% dello stesso CET1 impone di apportare al calcolo di esso determinate deduzioni. E, tra quelle già detenute e il miliardino in Atlante, ISP e UCG iniziano a tirare la corda.
Ecco perché l'intervento di UBI (cui si applica, davvero molto bene, il detto: "medice, cura te ipsum"), ecco perché l'intervento delle Fondazioni, ecco perché - come detto - anche l'intervento della Cassa Depositi e Prestiti.
Si scopre qui, allora, il nocciolo della questione.
Qui si tratta di alcune banche, messe meno peggio di altre, che cacciano soldi per rimettere in sesto gli istituti più disastrati, onde evitare che questi ultimi, seminando il panico fra i risparmiatori, facciano saltare (anche il loro) banco. Ma il rischio, forse più concreto di quanto percepito, è che in questo modo non si risolvano tutti i problemi, se ne creino di nuovi, anche più pericolosi, e si creino interdipendenze fra istituti potenzialmente esiziali. E infatti ieri Intesa e Unicredit hanno sofferto molto in borsa,
Riporto il FT sopra citato: "Silvia Merler, collaboratrice del think-tank Bruegel, dice che l'idea di avere un fondo finanziato da banche per sottoscrivere l'inoptato di altre banche è pericoloso... Wolfango Piccoli, di Teneo Intelligence, dice che... il piano... conferma la mancanza di una strategia unitaria, a trecentosessanta gradi, su come supportare il settore bancario...". Amen. (Certo poi è ovvio che anche il FT ha i suoi buoni interessi a prendere una posizione, piuttosto che l'altra).
Non sto a dire che in quel di Bruxelles, certi collegamenti, soprattutto qua già da noi corretti e amorali periferici, non li amano granché.
Riepiloghiamo. Io non ho il dono della sintesi. Ma c'è chi ce l'ha per me.

Quattro. Infine una considerazione di folklore. Certo, in questo contesto, non la più grave.
Lascio al fantastico Marco Palombi lo svolgimento del tema (e mi scuserà per la violazione del copyright).



POI MAGARI VA TUTTO BENE, GLI AUMENTI DI CAPITALE DI RIFFA O DI RAFFA SI FANNO E IL MERCATO DEGLI NPL RIPARTE.
MA, CERTO, SIAMO AL RISCHIA TUTTO.

venerdì 8 aprile 2016

Colpirne uno per educarne diciassette (ovvero: la BCE e la rivoluzione)


Mentre lo zio Sam, in versione Giucas Casella, tirava fuori dal Panama (invece che dal cilindro) il coniglio della "corruzione selettiva", e mentre da noi l'ennesimo conflitto di interessi (pur in assenza di Cavaliere, che strano!) faceva dimettere l'ennesimo ministro, nell'indifferenza generale le banche italiane hanno vissuto l'ennesima settimana di Passione. E sì che è già passata la Pasqua e pure la domenica in albis.
Sotto certi aspetti, siamo allo psicodramma collettivo; il bazooka di Draghi, che doveva fare chissà quale miracolo, al massimo potrebbe essere usato per il definitivo harikiri... (o seppuku, come dice la mia amica giapponese). Matteo, ovviamente, non ci bada e fa approvare senza fare una grinza la sua disgraziata riforma delle BCC (che, dopo le modifiche parlamentari, a me sembra quasi peggio di prima...: sarà che le coop. che scelgono la way out mi ricordano tanto le fondazioni bancarie). Secondo lui, d'altronde, il sistema è solido. A Milano la pensano diversamente: si è iniziato così...
e si è finito così...
Paiono ripresentarsi i fantasmi di gennaio, quando le pessime decisioni di fine anno del nostro governo (la risoluzione anticipata delle 4 banche) e l'entrata in vigore del bail-in avevano scatenato il panico a livello europeo (fino a quando il contagio non ha raggiungo il buco con la banca intorno e la BCE, dall'alto della sua autonomia, ha steso il cordone sanitario... ma per questo vi rimando alla TL di Claudio Borghi:
che lo spiega in stampatello).

Adesso si ricomincia. Ma perché ora? E perché l'epicentro è di nuovo in Italia?
Secondo un noto scienziato del credito (recentemente sceso da Marte e, pertanto, mai coinvolto nella gestione nelle partite bancarie degli ultimi vent'anni), è tutta colpa di qualche mela marcia.
Ora, in questo discorso (come in tutti i discorsi falsi, d'altronde) c'è del vero. Le banche venete creano nervosismo: Popolare di Vicenza e Veneto Banca hanno lanciato due aumenti di capitale apprezzati come l'Uomo Nero - d'altronde il gioco viene da lì -, uno dei quali, soprattutto, se non sarà fatto slittare, potrebbe creare qualche guaio anche ai ratio di Unicredit . Carige e Mps sono veramente messe male: in particolare, la situazione del Monte, soprattutto dopo che Viola ha ammesso che di fusioni non se ne parla, appare alquanto precaria.
Ecco allora che si riaffaccia la mitologica "soluzione di sistema", quelle tanto amate dai liberisti a senso unico (che poi è quello, ovviamente, che va a pro loro):

Soluzione, neanche a dirlo, allucinante.
Le banche più solide (?), le fondazioni bancarie (già azioniste delle sullodate "banche più solide"), forse qualche compagnia assicurativa (si può presumere Generali e Unipol) e CDP dovrebbero creare un nuovo veicolo da almeno 3 miliardi per l'acquisto dei crediti problematici degli istituti più esposti (magari utilizzando, per ridurre le perdite derivanti dalla cessione, l'aiuto - invero quasi nullo - della GACS) . Inoltre, siccome le relative vendite impatterebbero sul capitale degli istituti cedenti, il medesimo veicolo - o i suoi soci - dovrebbe sostenerne i connessi aumenti di capitale (quanto meno per la parte di inoptato). Dal che si capisce come mai alcune notizie di stampa hanno parlato di dotazione fino a 7 miliardi di Euro (da trovarsi, presumibilmente, anche mediante emissioni obbligazionarie per il pubblico).
Infatti: 1,75 miliardi per la Popolare di Vicenza, 1 miliardo per Veneto Banca, 500 milioni per Carige fanno, largo circa, 3 miliardini tondi. Poi però c'è UBI, con un tasso di copertura delle sofferenze che è metà di quello richiesto dalla BCE (che c'entra lo spiego sotto) e, finalmente, il buco nero Mps, che a voler credere ai giornali vale da solo altri 3 miliardi. Tre e tre sei e una sette. Primiera.
Bene.
Andiamo avanti.
L'ho già detto. Mi ripeto. Spero si capisca.
Le banche italiane, neppure Intesa o Unicredit (che - tra l'altro - saranno sollecitate non poco dall'azzeramento perpetuo dei tassi), si possono permettere di immettere tanti capitali freschi in altre banche italiane, meno che mai in banche grandi come Montepaschi (a sua volta alle prese, non bastasse il resto, con la discesa dei tassi): ne va dei ratio patrimoniali richiesti dalla BCE. Pensare a una fusione è addirittura demenziale, a meno che non siano state nel frattempo abolite le norme antitrust (oltre al fatto che una fusione con Mps creerebbe un avviamento negativo talmente alto da prosciugare il patrimonio di qualsiasi Istituto). Le assicurazioni possono intervenire, ma necessariamente in quote minoritarie (anche per motivi di vigilanza prudenziale). Resta la CDP, che o interviene poco (e allora non serve a nulla, salvo forse a sistemare le partite di Carige e di Vicenza, così da togliere il vin dai fiaschi a Intesa e Unicredit) oppure interviene in forze (e allora il progetto lo boccia la Commissione Europea). Infine, l'idea che il mercato finanzi a debito gli aumenti di Mps o di UBI, mi sembra surreale.
I giornali queste cose le sanno, ma non le scrivono. I mercati sono già in fibrillazione, come se da questa operazione venisse la salvezza perenne del sistema bancario. Può essere. Secondo me, a volte andrebbe rispolverato il reato di aggiotaggio.
Se poi fosse vero, come fa intendere Camilla Conti, che parte di questa Armata Brancaleone sarà anche il fondo privato della fondazione privata di Guzzetti... 

Tutto qui? Sarebbe già parecchio, ma no. Le cose sono un po' più complicate.
La Commissione Europea e la BCE - due noti organi indipendenti - stanno scientemente portando avanti un piano di destabilizzazione del sistema creditizio italiano.
Che, fino a qualche anno fa, era effettivamente più solido di quello di altri Paesi europei e anche per questo non aveva bisogno di far ricorso ad aiuti di Stato.
Oggi va di moda ritenere i nostri politici dei mentecatti, perché si sono fatti sfuggire la possibilità di ricapitalizzare con soldi pubblici gli Istituti di credito quando lo hanno fatto Stati Uniti, Germania, o Regno Unito; quello che si dice meno è che queste ricapitalizzazioni sono avvenute quasi tutte fra il 2008 e il 2012, mentre il problema vero delle banche italiane - le sofferenze - è iniziato ad esplodere in modo preoccupante più tardi, dal 2011, quando il governo in carica era azzoppato da uno spread fuori controllo e dalle comari del "Fate presto!", fino ad essere sostituito a favore dell'illuminata politica di distruzione della domanda interna inaugurata dal Monti e proseguita coi due statisti successivi, quello attuale compreso (il quale sta, ultimamente, cercando di redimersi; infatti durerà ancora poco).



Bene, in questo contesto, le ineffabili autorità europee:
- hanno imposto la "risoluzione" delle quattro banche a dicembre - addirittura vietando l'intervento del Fondo di garanzia dei depositi (probabilmente al grido: non facciamo quello europeo, non potete usare quello italiano!, con conseguenze enorme dal punto di vista sistemico, come si accorgono ultimamente anche in Banca d'Italia... devono aver iniziato anche lì a leggere goofynomics) - e, in quel contesto, ha voluto una valutazione esageratamente prudenziale del tasso di recupero dei crediti problematici delle stesse;
- hanno richiesto (iniziando a inviare a questa o quella banche quelle che un analista, l'altro giorno definiva random letter) tassi di copertura delle sofferenze particolarmente elevati, soprattutto scollegati dal sistema concettuale con cui, pochi mesi prima, erano stati portati avanti gli stress test delle medesime banche;
- per autorizzare le fusioni (imposte dalla medesima BCE), hanno iniziato a domandare sostanziosi aumenti di capitale (tanto che molti hanno intuito la creazione di una specie di soglia ufficiosa dei crediti problematici netti rispetto agli attivi delle banche italiane).
Tutto questo ha minato la fiducia dei risparmiatori nel sistema ed ha messo in confusione gli operatori professionali. Le clamorose perdite di valore di Banco Popolare e della Popolare di Milano si spiegano in questo modo. Il problema è che si tratta di perdite auto-alimentanti: a questi prezzi l'aumento di BP sarà iperdiluitivo, motivo in più per seminare sconcerto.

Detto in altri termini: il sistema bancario italiano nel suo complesso è molto meno solido che in passato. Vi sono alcune situazioni anche gravi, Mps su tutte. I regolatori però, invece di cercare di risolverle, le acuiscono scientemente, creando una situazione che potrebbe provocare il collasso del sistema.

Sì, ma perché?
Si potrebbero dare mille risposte.
Io ne do una.
Qui la questione vera, politica, non è rappresentata dalle sofferenze. Qui si tratta, ma guarda un po', del problema dei Titoli di Stato in pancia alle banche italiane, di cui ci siamo già occupati in passato. In sostanza: la BCE - o, se si vuol essere più precisi, l'SSM nel suo complesso - briga, con le scuse più improbabili, per aumentare la capitalizzazione degli istituti, in modo da avere le mani più libere quando la questione vera sarà affrontata di petto. La riduzione fino a non più del 25% del capitale la quota di Titoli di Stato detenuti dalle banche comporterebbe infatti, come minimo, una riduzione immediata e significativa dei margini di interesse (e, se le cose andassero molto male, anche significative minusvalenze). D'altronde, se non ci piegheremo all'ennesimo diktat, continuerà a pesare il veto tedesco alla mutualizzazione europea dei fondi di garanzia dei depositi (di cui noi, a quel punto, probabilmente non avremo più bisogno, ma che sarà necessario per l'affidamento dei risparmiatori).

Non è che ci vogliono male. Semplicemente, ci impongono di fare quello che chiedono. Se ci adeguiamo, non ci sarà nessuno scontro. Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant.

P.S.: E così abbiamo fatto il punto sulla situazione bancaria italiana. Ora dobbiamo per forza studiare anche quella tedesca... ne va dell'onore! Vero, Marco Mercanzin?
(Tra l'altro, forse, studiare il sistema tedesco mi potrebbe chiarire cosa impedisce a un socio che abbia il 7% di una grande banca nazionale di incrementare significativamente la sua quota sottoscrivendo a prezzi di mercato tutto l'inoptato di un significativo aumento di capitale, senza invenzioni assurde di maxi-fondi, super-garanzie, et similia).

giovedì 7 aprile 2016

La democrazia europea




(che poi - se la cosa avesse un senso - si tratterebbe dello 0,6%).

martedì 5 aprile 2016

La morale ai tempi dei panama papers (e dello scandalo Guidi)

Sì, mi rendo conto che la questione è già stata affrontata (basti leggere i blog del prof. Bagnai e del Pedante), ma visto quello che è successo in questi giorni, mi sembra opportuno ritornarci sopra.

Primo fatto, in breve: i più importanti uomini della terra (politici, affaristi, calciatori), nonché i più corrotti (infatti non ci sono statunitensi), affidano il frutto delle loro ruberie a uno studio legale, il Mossack Fonseca (specializzato in giurisdizioni off-shore: Isole Vergini Britanniche, Panama, Isole Cayman, Bermuda), il quale li gestisce in modo talmente professionale che un solo spione riesce a spedire a un giornale tedesco 11,5 milioni di file, cioè 2,6 tera-byte di informazioni. Il giornale tedesco (Süddeutsche Zeitung) lo condivide con il Consorzio Internazionale dei Giornalisti investigativi (Icij), con il Guardian e con la BBC. Lo scandalo è epocale: ci sono dentro personaggi di tutti i tipi, ma i più citati sono il primo ministro islandese e Putin, cui "sarebbero riconducibili" due miliardi di Euro (che, però, non sono a suo nome).
Secondo fatto: da un'intercettazione sembra venire fuori che un emendamento alla legge di stabilità per il 2015 (quindi di fine 2014), voluto dal Ministro dello Sviluppo Economico Federica Guidi per sottrarre agli Enti locali pugliesi - a favore del governo - la competenza in ordine ai permessi per la costruzione di opere accessorie (banchina nel porto di Taranto, oleodotto tra Basilicata e Puglia) all'impianto petrolifero di Tempa Rossa, in provincia di Potenza, avrebbe favorito il di lei compagno, subappaltatore di alcune di queste opere. Si scatenano le polemiche: da un lato, sull'interesse privato del Ministro, che si dimette; dall'altro, sulla giustizia "a orologeria" dei magistrati, che fanno uscire le intercettazioni poco prima del referendum sulle trivelle dell'Adriatico. Il principale beneficiario dell'emendamento, la francese Total (che gestisce Tempa Rossa), resta sullo sfondo.


Uno. Il frame dell'onestà - creato in Italia da Mani Pulite, rinverdito dal duo Stella e Rizzo, coltivato a colpi di corruzione percepita, infine sublimato a punto unico di governa del Movimento 5 stelle (cioè questo) - si diffonde a livello globale, facendo perdere di vista i punti fondamentali per giudicare un'azione di governo.
A Putin che libera Palmira...
...si risponde - in mancanza di morti per polonio - con una "autostrada di soldi" che porterebbe fino al Cremlino.
Al premier islandese, che ha fatto rinascere una nazione e si è tenuto miracolosamente fuori dall'Euro...
...si contrappone un conto in qualche paradiso esotico. E la gente, a Reykjavík, scende in piazza (con grande gioia di Snowden, che io ancora non capisco da che parte stia).
Mi sembra quasi un insulto all'intelligenza ricordare che lungi da me la giustificazione della corruzione, o di qualsiasi altro reato, in particolare di quelli contro la pubblica amministrazione.
Ma la morale è sempre quella: è più grave vendere il proprio Paese agli interessi stranieri, o rubare (ammesso che vi sia del vero) una parte minimale delle risorse pubbliche? Eppure, chi ha quasi regalato alcuni dei nostri gioielli industriali è oggi uno stimatissimo banchiere, chi ha permesso alle banche tedesche e francesi di rientrare dei propri crediti in Grecia è un influente senatore (con schiere di fenomeni pronti a immolarsi in suo nome di fronte al ridicolo), addirittura, coloro  che hanno posto le basi per lo scempio odierno (uno... due... e tre: la perdita di sovranità monetaria è servita) sono visti come Padri della patria.
Loro non hanno rubato denaro. Però ci hanno rubato il futuro, e non mi sembra meno grave solo perché non si tratta di fattispecie prevista dal codice penale.
Basare il giudizio su una classe politica a partire soltanto dalla fedina penale è doppiamente pericoloso: fa mettere in secondo piano i risultati effettivi dell'azione di governo, permette alle élites, in ogni caso, di auto-assolversi. Prima dal punto di vista penalistico, poi da quello linguistico, infine da quello etico e politico. La Prima Repubblica è crollata a causa di un sistema di finanziamento illecito ai partiti; ma comportamenti non molto differenti - resi legali e rivestiti del nome di lobbying - sono additati a vanto delle democrazie anglosassoni e, addirittura!, dell'Unione Europea. Scriveva De André: "una volta un giudice come me giudicò chi gli aveva dettato la legge: prima cambiarono il giudice e subito dopo la legge".
Lo ribadisco: dall'assoluzione in campo penale all'assoluzione in campo morale e politico, è un attimo, soprattutto con media compiacenti. Con buona pace dei cittadini.


Due. Anche Renzi, rispetto alla questione Guidi, l'ha buttata in caciara. "Ditemi se è reato sbloccare le opere pubbliche!", ha tuonato, con fare invero un po' mussoliniano. I giornali, al solito, gli sono andati dietro con lucci.
Tralascio la stranezza di una che ha il "fidanzato" a 45 anni (e non a 15). Il fatto è che qui sono ben altre le cose da chiarire, altro che il piacere al compagno.
Il sito di Tempa Rossa è o non è importante per la politica industriale italiana? Quali sono le le relative ricadute occupazionali? Vi sono rischi effettivi per l'ambiente? Ma soprattutto, so-prat-tut-to:
Di questo si dice poco o nulla e invece è proprio il punto fondamentale. E il fatto che i giornaloni quasi per nulla si interessino alla questione la dice lunga sul grado di autonomia del nostro Paese. D'altronde:
Certo, qualcuno ha azzardato qualche considerazione:
Il problema, però, è che Travaglio dovrebbe in primo luogo fare pace con la logica, visto che continua a sbraitare ai quattro venti di sprechi, mazzette e bustarelle nella p.a. o nella sanità (motivo unico del debito pubblico, come ben noto). Certo c'è anche chi fa peggio: questa, per esempio, è una fantastica slide del TEH-A Ambrosetti...


Il discorso potrebbe d'altronde allargarsi alla opportunità di certe privatizzazioni in settori strategici (poste, telecomunicazioni, elettricità), sempre a vantaggio di colossi stranieri. Per non parlare poi dei rischi che sta correndo il settore bancario. Alcuni piccoli indizi dovrebbero però fare, quanto meno, riflettere:


Tre. I panama papers sono ovunque, ma nessun giornale, e pochissimi giornalisti (tra questi, ovviamente, l'attentissimo Marcello Foa, qui), si sono posti la domanda che sempre ci si dovrebbe porre in questi casi. Cui prodest? Tutti invece a strillare come matti: soldi "riconducibili" a Putin!, soldi "riconducibili" a Marine Le Pen! ("riconducibili" significa che i nomi dei bersagli nella lista non ci sono, ma che insomma ci sono quelli di amici e conoscenti... tanto la teoria dei sei gradi di separazione la conosciamo tutti).
Eppure, motivi per dubitare, ce ne sono. Ad esempio: chi sono i finanziatori dell'Icij? Non è difficile scovarli. Sono questi:
Dal che, si capisce anche come mai non vi siano statunitensi citati, ma soltanto politici considerati non allineati e, per dare un po' di fumo negli occhi, quatto o cinque inglesi prossimi al Mondo dei più.
Che non sia un caso, ma il tutto sia stato gestito (probabilmente al di là se non contro le primigenie intenzioni della Gola profonda) con specifiche finalità geopolitiche, chi vuole capire lo capisce:
Senza stare a dilungarmi oltre, riporto l'opinione di Craig Murray (attivista per i diritti umani inglese).


Mi sembra la prova provata, se ce ne fosse stato ancora bisogno, dello stato dell'informazione sia nel nostro Paese, sia nel mondo occidentale in genere.


Quattro. I panama papers, per poco poco che dimostrano, fanno capire a cosa porterebbe la famosa patrimoniale progressiva di Piketty. Ah già, ma lui (forse) ha piuttosto altri obiettivi...

venerdì 1 aprile 2016

Notizie e notiziuole: falso in bilancio ancora punibile

Quando ci saranno le motivazioni ci ritornerò sopra. Se riesco, pubblico la sentenza.
Comunque, quello che conta è che le Sezioni Unite, con sentenza n. 7 del 2016, ha statuito che "sussiste il delitto di false comunicazioni sociali, con riguardo all'esposizione o all'ammissione di fatti oggetto di valutazione, se, in presenza di criteri di valutazione normativamente fissati o di criteri tecnici generalmente accettati, l'agente da tali criteri si discosti consapevolmente e senza darne adeguata informazione giustificativa, in modo concretamente idoneo a indurre i errore i destinatari delle comunicazioni".
Tradotto in italiano, significa che, nonostante la modifica dell'art. 2622 del codice civile, il "falso valutativo" (quello cioè che non altera i costi o i ricavi non annotando pagamenti ricevuti, ovvero annotando fatture inesistenti, ma manipola l'utile o la perdita di esercizio dando ai beni materiali o immateriali dell'azienda - marchi, brevetti, immobili, beni a magazzino, ecc. - valori non corrispondenti al vero) sarà ancora punibile.
Matteo ci aveva provato, ma gli è andata male.
In questi giorni, è proprio sfortunato. La versione precedente, infatti, puniva chi concretamente induceva altri in errore sulla situazione economico-patrimoniale di una società, "esponendo fatti materiali non rispondenti al vero ancorché oggetto di valutazioni".
L'inciso relativo alle valutazioni, dal 2015, è sparito.
La Cassazione, però, con questa sentenza non se ne è data per inteso, ritenendo in sostanza che una valutazione basata su assunzioni divergenti da quelle previste dai principi contabili dell'Organismo Italiano di Contabilità (OIC), ove non giustificata, integri comunque un "fatto materiale falso".
La sentenza, oltre a comportare l'ennesima ringollata per il nostro amato premier, che confidiamo il popolo sovrano bissi ad aprile (per poi assestare il colpo di grazia a ottobre), risulta importante anche per un altro motivo, certo "di nicchia", ma non meno interessante.
Con questa pronuncia delle SS.UU., i "principi contabili" diventano infatti norma di riferimento nella valutazione dell'esistenza o meno del falso in bilancio: si attribuisce dunque, per la prima volta, una rilevanza giuridica stringente alle norme OIC, Organismo che, non a caso, dal 2015 è stato trasformato in ente pubblico.