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mercoledì 27 gennaio 2016

Abbiamo una (bad) bank!

Ovvia. Ce l'abbiamo fatta.
PCP ha portato a casa la bad bank, nella versione Philadelphia Light di una garanzia sulla cartolarizzazione delle sofferenze.
O, per dirla con Fabio Bolognini (che sulla materia ha molto da dire... e sta dicendo su Twitter):
A occhio, nihil sub sole novi: si crea la solita scatoletta vuota (SPV, dicono quelli fichi) a capitale minimo, le si fa comprare - con un certo sconto... facciamo il 75% del nominale? - una bella fetta degli NPV delle varie banche da pagare mediante emissione di bond con diverso rating (di solito si fanno tre, quattro emissioni: senior, mezzanine e junior), si prova a fare in modo che la SPV recuperi abbastanza sofferenze per onorare cedole e capitale, et voilà.
In più, stavolta, a garantire gli acquirenti dei titoli emessi dalla SPV sarà lo Stato, mentre CDP dovrebbe avere un ruolo di "Banca Agente" (anche se...):
Il tutto, si spera, dovrebbe allentare, almeno un po', la tensione sul nostro sistema bancario. E questo è bene. Perché se salta Mps, o Unicredit, o un'altra così, arrivano l'Olandese strabico, la Francese stinta e Marione nostro, e ci fanno un culo come un cappello da cardinale.
Però.
Primo. La garanzia è solo sulle tranche senior (quelle che normalmente si comprano i famosi "investitori istituzionali"). Le altre, non garantite, potrebbero dunque essere sottoscritte, come al solito, dagli originator, che in questo caso non riuscirebbero a smollarsele dal bilancio. La cosa, evidentemente, toglie molto appeal alla misura.
Secondo. Qualche banca rischia di non poterselo permettere. Sì, perché la cessione pro soluto allo SPV non avviene a valori di bilancio, ma ad una cifra assai inferiore (c.d. haircut), per cui gli Istituti che vogliono perseguire questa strada devono mettersi in testa di portare a bilancio, nel 2016, discrete perdite non preventivate. Con ovvi impatti sul capitale di vigilanza (CET1), che potrebbe avvicinarsi molto al limite minimo previsto dallo SREP. Che, tradotto in linguaggio umano, significa rischio concreto di aumento di capitale. Metto qui questo tweet, che secondo me dà un'idea quanto meno delle grandezze.
Poi, al di là di ogni considerazione economica, è sempre splendido il meccanismo. Sì, perché - alla fine - chi è che si compra i titoli dello SPV? Operatori finanziari professionali, grandi banche estere, forse qualcuna italiana, assicurazioni, ecc., i quali, se le cose vanno bene (mmh... mi sa di no), da questa storia ci tirano fuori un sacco di quattrini, però se le cose vanno male (eh, probabile), comunque lo stesso. Eh sì, perché la differenza rispetto a quanto pensavano di riprenderci ce la mettiamo noi, e buona notte.
Non solo: a pagare, sembra, sarà lo Stato (speriamo). Ma si è molto parlato anche di CDP. E questo apre un altro capitolo, che è quello del pervicace tentativo di questo governo di dissestare a tutti i costi il risparmio postale (da utilizzare a seconda del giorno per l'Ilva, per Fincantieri, per la banca larga stretta e media, e così via...), con buona pace per quegli speculatori impenitenti che hanno qualche risparmio sui libretti di deposito.
Ora, qui, io devo fare pubblico riconoscimento ad Andrea Lignini, il quale, in tempi non sospetti, lanciò una campagna di questo genere:
Infine.
La morale della favola è che tutti questi simpatici signori che lucreranno sulle disgrazie altri sono gli stessi che, prestando i soldi totalmente a cazzo negli anni delle vacche grasse, hanno ingenerato la tremenda crisi che ancora ci perseguita e che sono stati poi salvati da morte certa non con una garanzietta da poracci, ma tramite miliardi di aumenti di capitale pubblici e la distruzione delle economie di interi Paesi della periferia dell'Euro (la Grecia, certo, ma anche noi abbiamo dato).
Quando il gioco è truccato, il banco vince sempre.

(Primo aggiornamento para-tecnico - 27 gennaio)

Il mercato è fortemente confuso per la mancanza di dettagli sufficienti. Di sicuro, c'è una garanzia statale il cui costo dovrebbe attestarsi attorno ai 100 bps. per i primi 3 anni.

Primo problemino. Secondo gli analisti, la copertura delle sofferenze in questione dovrebbe aggirarsi di poco sotto al 75%; pertanto, le banche potrebbero anche decidere di non vendere gli NPL, oppure di sottoscrivere loro stesse le tranche junior, al fine di poter godere del maggior valore che ritengono possa essere estratto da questi crediti problematici.
Se però il decreto governativo imponesse la cancellazione dai bilanci sin dall'inizio dell'operazione, si potrebbe verificare un clamoroso buco nell'acqua.

Secondo problemino (di cui si è detto anche sopra). Gli analisti stimano che le nuove regole permettano subito cartolarizzazioni per circa un terzo delle sofferenze, quelle che hanno minori problemi (perché ben coperte) e che dunque non impattano in modo significativo sui fondamentali delle banche. Quando (e se) invece si inizieranno a toccare portafogli di minore qualità, p.e. quello di Mps, alcuni problemi di capitalizzazione si potrebbero porre.
Con un ulteriore, anche più concreto, rischio di flop della misura.

In generale:

(Secondo aggiornamento para-tecnico - 27 gennaio)


Apprezzamento dell'operazione da parte del mercato:

grazie anche a questo fantastico comunicato stampa del Mef (enfatizzazioni mie):

Presto disponibile la Garanzia Cartolarizzazione Sofferenze (GACS)
Il Governo sta per varare le norme che definiscono un meccanismo di garanzia utile a smaltire i crediti in sofferenza presenti nei bilanci bancari. La Commissione europea concorda che il meccanismo non prevede aiuti di Stato.
Lo schema prevede la concessione di garanzie dello Stato nell'ambito di operazioni di cartolarizzazione che abbiano come sottostante crediti in sofferenza.
Lo Stato garantirà soltanto le tranche senior delle cartolarizzazioni, cioè quelle più sicure, che sopportano per ultime le eventuali perdite derivanti da recuperi sui crediti inferiori alle attese. Non si potrà procedere al rimborso delle tranche più rischiose (junior e mezzanina), se non saranno prima state integralmente rimborsate le tranche senior garantite dallo Stato.
Le garanzie possono essere richieste dalle banche che cartolarizzano e cedono i crediti in sofferenza, a fronte del pagamento di una commissione periodica al Tesoro, calcolata come percentuale annua sull'ammontare garantito. Il prezzo della garanzia è di mercato, come riconosciuto anche dalla Commissione europea, che concorda sul fatto che lo schema non contempli aiuti di Stato. Il prezzo sarà calcolato prendendo come riferimento i prezzi dei CDS degli emittenti italiani con un livello di rischio corrispondente a quello dei titoli garantiti. Il prezzo sarà crescente nel tempo, sia per tenere conto dei maggiori rischi connessi a una maggiore durata delle note, sia per introdurre nello schema un forte incentivo a recuperare velocemente i crediti. Il prezzo previsto per i primi tre anni è calcolato come media del mid price dei CDS a tre anni per gli emittenti con rating corrispondente a quello delle tranche garantite. Al quarto e quinto anno il prezzo aumenterà in conseguenza dell'applicazione di un primo step up (CDS a 5 anni) e del pagamento di una maggiorazione incentivante, a compensazione del minore tasso pagato per i primi 3 anni. Dal sesto anno in avanti il prezzo della garanzia sarà pieno (CDS a 7 anni). Per il sesto e settimo anno sarà anche dovuta una ulteriore maggiorazione incentivante, a compensazione del minore tasso pagato per i primi 5 anni.
Lo Stato rilascerà la garanzia solo se i titoli avranno preventivamente ottenuto un rating uguale o superiore all'Investment Grade, da un'agenzia di rating indipendente e inclusa nella lista delle agenzie accettate dalla BCE. Il rating sarà rilasciato applicando i criteri rigorosi che le agenzie sono tenute ad osservare, che includono: la stima analitica dei flussi di cassa associati al titolo garantito, la verifica della qualità di tutti i crediti sottostanti, la percentuale investita nelle tranche che assorbono per prime le perdite, la capacità operativa del servicer che sarà incaricato del recupero dei crediti. Le banche saranno tenute a dare l'incarico di recuperare i crediti a un servicer esterno e indipendente. Questo impedirà che l'azione di recupero sia frenata da eventuali conflitti di interesse.
La presenza della garanzia pubblica faciliterà il finanziamento delle operazioni di cessione delle sofferenze. Questo intervento si aggiunge alle numerose misure approvate in questi mesi per contribuire al rafforzamento in atto del settore bancario (trasformazione delle maggiori banche popolari in società per azioni, riforma delle fondazioni bancarie, semplificazione delle procedure di recupero crediti e delle procedure di insolvenza per ridurre i tempi, adeguamento allo standard europeo del trattamento fiscale delle svalutazioni, la prossima riforma delle banche di credito cooperativo).
Con questo ulteriore tassello, il complesso degli interventi faciliterà la gestione efficace e progressiva del residuo elemento di debolezza del settore bancario italiano, rappresentato dalla concentrazione di crediti deteriorati.
L'intervento non genererà oneri per il bilancio dello Stato. Al contrario, si prevede che le commissioni incassate siano superiori ai costi, e che vi sia pertanto un'entrata netta positiva.


(Terzo aggiornamento - 28 gennaio)


Ottimo post su www.zerohedge.com, che cita Citi: "un costo troppo alto [delle garanzie governative] renderebbe il trasferimento delle sofferenze alla bad bank non conveniente per le banche, che potrebbero potenzialmente vedere aprirsi nuovi deficit di capitale. Un prezzo troppo basso sarebbe una violazione delle regole sugli Aiuti di Stato, coinvolgendo così nelle perdite gli investitori (e potenzialmente i depositanti). La versione italiana della bad bank è molto diversa da quelle realizzate in altri paesi dell'UE dal 2008 (in Spagna, Irlanda), in cui gli Istituti sono stati costretti a vendere, in tutto o in parte, i loro crediti inesigibili - con un prezzo stabilito - ad una banca-veicolo sostenuta dal governo. Il sistema italiano è una versione molto più leggera e come tale rischia di avere un impatto molto più ridotto sui bilanci delle banche".
Anche Citi nota che, molto probabilmente, si tratterà di una garanzia inutile. Anche Citi aggiunge che, per certe banche, probabilmente si aprono anche scenari di ricapitalizzazione. Citi, però, aggiunge anche un'altra cosa: se lo Stato, nel prossimo decreto legge, sbaglia il costo della garanzia, o fa il furbo, a rimetterci potrebbero essere - via bail in - azionisti e obbligazionisti degli Istituti che faranno ricorso allo strumento.
Poi ci si domanda perché le banche calano in borsa.

(Quarto aggiornamento - 11 febbraio)

Il Consiglio dei Ministri n. 103 ha approvato un decreto legge che - oltre a modificare radicalmente il sistema della BCC - "include inoltre le disposizioni che permettono di avviare il regime di garanzia sulle passività emesse nell'ambito di operazioni di cartolarizzazione realizzate a fronte della cessione da parte di banche italiane di portafogli di crediti pecuniari qualificati come sofferenze...".
Così si esprime il comunicato stampa del governo: "la garanzia dello Stato può essere concessa solo ai titoli della classe senior e  purché questi abbiano previamente ottenuto un livello di rating da una agenzia riconosciuta dalla BCE corrispondente a un investment grade. La garanzia diviene efficace quando la banca abbia venduto più del 50% dei titoli junior.
La garanzia è onerosa e il prezzo della garanzia è costruito prendendo come riferimento i prezzi dei credit default swap di società italiane con un rating corrispondente a quello dei titoli senior che verrebbero garantiti.
Il decreto legge definisce anche le caratteristiche delle operazioni ammissibili e dei titoli senior, la procedura di richiesta e l’eventuale fase di escussione delle garanzia".

domenica 24 gennaio 2016

Mps e i suoi fratelli (ovvero i figli di Troika)

A me pare di sognare. La scorsa settimana, rispetto alla crisi - parzialmente rientrata, almeno sui listini - che ha investito le principali banche del nostro Paese e non solo (sì, perché si parla solo di Mps, ma anche le altre non se la sono passata un granché meglio:
tanto per dire) ne abbiamo sentite di ogni. Diciamo che il ventaglio di opzioni è andato da: "non ci sono speculazioni!", fino a: "è stata tutta una speculazione!". Passando per: "le banche sono solide!", o "io compro subordinati a tutta manetta!", e così via delirando.
Ora, per quanto riguarda il Montepaschi, la situazione - senza tanti commenti - è questa.
Anche il motivo di fondo è abbastanza chiaro. Gli Istituti italiano sono zavorrati da 200 miliardi di Euro di sofferenze lorde (cioè, poco meno di 90 miliardi di Euro al netto delle perdite già portate in bilancio), cui si aggiungono circa 113 miliardi di incagli (crediti scaduti, o problematici, che potrebbero passare anch'essi a sofferenza). La crescita di questi ultimi, peraltro, è stata assai significativa negli ultimi anni, mentre le politiche di passaggio dei medesimi a sofferenza si sono dimostrati, in alcuni casi, abbastanza timide. Riporto qui di seguito un grafico che, riferito ai dati 2014, spiega piuttosto bene la cosa (l'articolo originale, da Fabio Bolognini, lo trovate qui):
Non a caso, Mps sta disperatamente cercando di disfarsi della maggior quantità possibile di NPL (che vuol sempre dire sofferenze, ma fa molto fico): è di oggi la notizia della cartolarizzazione di un portafoglio di crediti leasing da 1 miliardo e 600 milioni di euro, di cui circa la metà piazzati sul mercato a investitori istituzionali, ma già a giugno scorso Ifis aveva acquistato circa un miliardo di posizioni dubbie, mentre a fine dicembre vi è stata la cessione pro soluto a Deutsche Bank di un altro miliardo di crediti. La stessa BCE, d'altronde, ha richiesto espressamente alla banca non soltanto la "prosecuzione attiva delle iniziative volte a fronteggiare le non-performing exposures
(NPE), insieme ad iniziative di ristrutturazione, ivi incluse operazioni di aggregazione", ma anche iniziative concrete "finalizzate a monitorare efficacemente... l’adeguatezza patrimoniale delle controllate MPS Capital Services e MPS Leasing & Factoring" e la "messa in atto di una documentata strategia su rischio di liquidità e di funding".
Tradotto: avete un'esagerazione di sofferenze e troppi pochi soldi in cassa, fondetevi se non volete chiudere. Visto che di cavalieri bianchi se ne vedono pochi in giro, c'è da stupirsi che il titolo soffra, anche molto, in borsa?
Capisco d'altronde l'obiezione: questa situazione va avanti da anni. Perché proprio ora si scatena il panico?
Risposta: (i) le banche più importanti del Paese sono sotto il diretto controllo della BCE; (ii) la suddetta BCE controlla i requisiti patrimoniali per fronteggiare i rischi tipici e non dell’attività bancaria (c.d. ICAAP) e dà un giudizio complessivo di adeguatezza sulla banche, ma - soprattutto - indica anche azioni correttive (è il famoso SREP); (iii) affinché i controlli di cui sopra siano effettivi, alla BCE spetta anche la c.d. asset quality review (o AQR), cioè un'analisi approfondita degli attivi bancari; (iv) infine, da gennaio 2016, è entrato in vigore il sistema del bail-in, per cui in caso di dissesto di una banca a pagare sono gli azionisti, poi gli obbligazionisti e infine i correntisti.
(Di tutta la questione ne abbiamo lungamente parlato qui; chi fosse interessato si può leggere il D. Lgs. n. 180 del 2015, chi invece ha tendenze masochistiche può consultare anche la Circ. n. 263 del 2006 di Banca d'Italia).
Se dunque in un sistema già sull'orlo della crisi di nervi arrivano richieste di chiarimenti, da parte della Banca Centrale Europea, sulle modalità di contabilizzazione dei crediti problematici (qui accanto c'è il comunicato Mps, ma lo stesso vale anche per Unicredit, Carige, popolare Milano, Banco Popolare e Bper: un articolo interessante è qui), e se anzi questa lettera è interpretata come una specie di sorellina minore di quella che, qualche anno or sono, fece inneggiare un giornale ridicolo alla liberazione, è ovvio che gli operatori vadano nel panico: la BCE impone una svalutazione dei crediti simile a quella delle 4 banche fallite a dicembre = il capitale delle banche coinvolte nell'esame della BCE si riduce o addirittura si azzera = per il rispetto dei requisiti SREP sono necessarie ulteriori azioni di rafforzamento = risulta chiara l'impossibilità di aumenti di capitale o di fusioni = bail-in dell'Istituto e tanti saluti.
Il tutto, al fine di imporre l'aiuto dell'ESM e, quindi, la Troika.

(Ve la ricordate quella battuta sul Giappone... Qualcuno l'avrà forse riciclata per l'Italia).

In quest'ottica si capiscono bene le voci di fusione fra Mps e Intesa (del tutto fantastiche, dal momento che Intesa non ha abbastanza capitale per assorbire il "boccone" Montepaschi), di "spezzatino" di Mps, con la rete Antonveneta che avrebbe potuto essere autonomamente venduta al miglior offerente (ah, l'ironia della sorte! Antonveneta ne ha già ammazzate tre, di banche, magari continuerà ancora), oggi addirittura di fusione a tre con UBI e Popolare di Milano su richiesta addirittura di Mario Draghi in persona. Qualsiasi cosa, per evitare il bail-in! Qualsiasi cosa per evitare la Troika! Aiuto, non abbiamo più una banca!
Insomma, mercoledì mezzo sistema bancario era fallito. Poi, di colpo, il sereno. Mps guadagna in un giorno il 40% (ovviamente il 40% di quel che era rimasto... ma contentiamoci).
Perché?
In primo luogo, perché ha perlato il sullodato Marione, il quale ha detto, in sostanza, che la letterina "è stata mal interpretata", che si tratta di un "mero questionario" e che i bilanci delle banche italiane sono solidi.
Secondariamente perché - secondo il Ministro Padoan - entro qualche giorno si chiuderanno i negoziati sulla bad bank, rispetto alla quale la Commissione dovrebbe ritenere compatibile col diritto UE una garanzia statale "a prezzi di mercato" (statale mediante artifici finanziari tipo l'emissione di ABS, o diretta tramite la CDP, poco importa; comunque molto più ampia, in termini di risorse, rispetto a quella precedentemente prevista) sugli NPL ceduti a terzi dal sistema creditizio italiano.

Ora, questa accelerazione è assai più misteriosa del crollo di Mps, e lo è anche per chi - sulla materia - è ben informato. A voler pensare bene, si può credere che anche a Bruxelles abbiano capito che il gioco è scappato di mano: che succederebbe alle sofferenze italiane, nel caso di un rialzo dei tassi? Non solo: con 200 miliardi di Euro di sofferenze, le banche italiane potrebbero continuare ad acquistare, come in passato, titoli dello Stato, evitando un rialzo devastante dello spread? Il sito http://www.zerohedge.com/, appena citato, fa finta di crederci; noi, conoscendo la nota assennatezza dei burocrati di Bruxelles, un po' meno. Aggiunge d'altronde, lo stesso sito, le parole di un analista di Bloomberg, secondo cui un voltafaccia così smaccato da parte della Commissione "può aiutare temporaneamente a rassicurare i mercati, ma alla fine potrebbe scuotere la fiducia nell'Euro", e poi di un analista italiano, che testualmente nota: "tutti stanno dando al Governo qualche ora in più per trovare una soluzione. A seconda della soluzione, la situazione si stabilizzerà o inizieranno, di nuovo, forti cali".
Ricapitoliamo. Gli attacchi a Mps sono attacchi al sistema bancario italiano, di cui l'Istituto di Siena è l'anello più debole. Questi attacchi si verificano quando vi è la percezione che le Autorità europee vogliano mettere il naso nelle sofferenze delle banche del nostro Paese, o quando pare che le richieste italiane sulla bad bank non siano recepite a Bruxelles.
Allora, siamo sicuri che il fraintendimento della letterina della BCE sia un vero fraintendimento? Siamo sicuri che la Commissione abbia davvero cambiato idea sulla bad bank? O non si tratterà di un avvertimento, in perfetto stile mafioso, al nostro beniamino Matteo, che ultimamente - sulle clausole di flessibilità, sulle sanzioni alla Russia, sul pagamento del pizzo alla Turchia - ha fatto un po' il simpatico col famoso ditino alzato?
Altro che referendum costituzionale! Mercoledì scorso, a Palazzo Chigi secondo me non pensavano nemmeno di mangiare la colomba.
Poi qualcosa è cambiato. Come? Perché? Altro che fondi speculativi! Le domande vere di tutta la questione sono proprio queste, perché incidono sul nostro futuro.
Matteo sarà andato a Canossa? O ad Anagni? Ce lo diranno le prossime settimane.

venerdì 15 gennaio 2016

Notizie e notiziuole: approvato il nuovo modello per le dimissioni del lavoratore

Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha pubblicato il D.M. 15 dicembre 2015, recante: "Modalità di comunicazione delle dimissioni e della risoluzione consensuale del rapporto di lavoro".
Il Decreto definisce i dati contenuti nel modulo per le dimissioni e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro e la loro revoca e gli standard e le regole tecniche per la compilazione del modulo e per la sua trasmissione al datore di lavoro e alla Direzione territoriale del lavoro competente (v. art. 26, c. 3, D. Lgs. n. 151 del 2015).
Tale modulo è l'unico che potrà essere utilizzato per dare le dimissioni, o per ritirarle. Il modulo è inoltrato alla casella di posta elettronica certificata del datore di lavoro ed a quella della DTL direttamente dal dipendente (mediante il proprio PIN INPS) o da intermediari abilitati.
Si tratta, evidentemente, di un ulteriore tentativo per evitare o quanto meno ridurre il fenomeno delle c.d. "dimissioni in bianco".

giovedì 14 gennaio 2016

Ti controllo e ti licenzio, è mio diritto (umano)!

La notizia non è di secondaria importanza.
Secondo i giornali, la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU) il 12 gennaio ha infatti stabilito che una società rumena, che ha monitorato gli account di posta elettronica di un proprio dipendente e lo ha quindi licenziato per averne accertato l'invio di messaggi di posta elettronica personali (in realt, si trattava di instant messages: N.d.R.) durante l'orario di lavoro, non ha violato i diritti del lavoratore, in particolare quelli al rispetto della vita privata e familiare, oltre che della corrispondenza.

(I prossimi paragrafi descrivono brevemente la sentenza. Chi non è interessato passi oltre).

In particolare, il sig. Bărbulescu - richiesto dai suoi datori di lavoro di creare un account di Yahoo Messenger con lo scopo di rispondere alle richieste dei clienti - è stato sottoposto dalla propria ditta ad una azione monitoraggio nell'uso dell'account medesimo tra il 5 e il 13 luglio 2007. I record dimostravano l'utilizzo personale dell'account (alcuni messaggi, rivolti al fratello e alla fidanzata, attenevano addirittura a questioni di salute e alla sfera sessuale del dipendente, erano cioè dati sensibili); pertanto, il 1° agosto successivo, il sig. Bărbulescu è stato licenziato.
Il dipendente ha impugnato il licenziamento dinanzi ai tribunali del proprio Paese. Risultato soccombente in primo e secondo grado (con la motivazione che il datore di lavoro aveva previamente informato il lavoratore delle norme di utilizzo dell'account), si è quindi rivolto alla CEDU lamentando di essere vittima di un "procedimento ingiusto". A suo avviso, infatti, il comportamento del proprio datore di lavoro non avrebbe rispettato il diritto alla riservatezza della vita privata e della corrispondenza, diritto che può essere violato soltanto nei casi previsti dalla legge per motivi di sicurezza nazionale, pubblica sicurezza, benessere economico del Paese, difesa dell’ordine e prevenzione dei reati, protezione della salute o della morale o dei diritti e delle libertà altrui (v. art. 8, Convenzione dei Diritti dell'Uomo).
Il governo rumeno si è difeso ritenendo che l'art. 8 non si applichi a strumenti per i quali lo stesso dipendente ha dichiarato un uso strettamente professionale (anzi: ha negato, a specifica domanda, qualsiasi uso privato), allegando anche la posizione di altri Paesi secondo cui il diritto alla privacy sussisterebbe soltanto in caso di comunicazioni aventi, di per sé, carattere privato. Non solo: secondo il governo, l'azienda aveva informato il dipendente che avrebbe potuto monitorarlo. Di contro, il dipendente ha sottolineato come Yahoo Messenger sia per sua natura un software dedicato a usi privati, tale da renderlo certo in ordine al rispetto della sua privacy nell'utilizzo (d'altronde, la password era nota soltanto a lui).
La Corte, tuttavia, non ha accolto il ricorso del sig. Bărbulescu.
In linea di principio, una persona, in assenza di un avviso che le proprie chiamate dal telefono aziendale sono soggette a monitoraggio, ha una ragionevole aspettativa in ordine al rispetto della propria privacy (cfr. Halford, sopra citato, § 45), e la stessa aspettativa si deve rintracciare in relazione all'utilizzo di posta elettronica e di internet da parte di un dipendente (v. Copland, già citata, § 41). Ma qui si tratta di un account Messenger registrato su richiesta dello stesso datore di lavoro, il quale aveva approvato regolamentazioni interne volte a proibire assolutamente l'utilizzo per scopi personali dei computer e delle altre risorse aziendali.
In altri termini, evidenzia la Corte, il ricorrente - che sapeva del divieto di utilizzo di internet a fini personali e il diritto di monitoraggio da parte dell'azienda - lamenta la stessa contrarietà del sistema normativo rumeno (Codice del Lavoro, regole interne all'azienda) all'art. 8 della Convenzione dei Diritti dell'Uomo.
Ciò premesso, la CEDU sottolinea come il diritto alla riservatezza impone non solo che lo Stato si astenga dalla violazione della privacy dei cittadini, ma ponga in essere anche concrete misure per assicurare l'effettività di tale diritto; in questo quadro, lo Stato deve comunque agire contemperando l'interesse dei lavoratori con quelli, talvolta confliggenti, dei datori di lavoro.
In questo quadro, i giudici hanno ritenuto non irragionevole che un datore di lavoro voglia verificare che i dipendenti completino i loro compiti professionali durante l'orario di lavoro (e che il diritto interno dia loro questa facoltà) e hanno anzi notato come la registrazione delle conversazioni sia stata posta in essere dalla ditta nella convinzione che le stesse contenessero comunicazioni con clienti (d'altronde, nessun altro documento del ricorrente è stato controllato dal datore di lavoro).
I tribunali nazionali rumeni hanno dunque tenuto un giusto equilibrio tra il diritto di Bărbulescu al rispetto della sua vita privata e diritti dell'azienda. Il fatto che il comportamento del dipendente non avesse causato danni effettivi all'azienda è considerato inconferente.

(Ricominciate da qui).

Qualche considerazione.
La Costituzione rumena garantisce il diritto alla protezione della vita privata e familiare, così come la corrispondenza privata. L'intangibilità di quest'ultima, poi, ha anche una tutela penalistica.
Di contro, il Codice del Lavoro rumeno, nel testo in vigore al momento degli eventi, prevedeva il diritto del datore di lavoro "di monitorare il modo in cui i dipendenti hanno completato i loro compiti professionali", salvo comunque porre a carico dello stesso il "dovere di garantire la riservatezza dei dati personali dei dipendenti", che possono essere oggetto di trattamento solo previo consenso dell'interessato salve alcune eccezioni specifiche. Tra queste, il trattamento di dati "per il completamento di un contratto di cui l'interessato è parte e per garantire un legittimo interesse del gestore dati".
Come si vede, il sistema rumeno del 2007 non è molto differente dal sistema italiano attuale. Le norme sulla privacy, avendo origine comunitaria, sono sostanzialmente le stesse del nostro Codice, mentre il "diritto al controllo" concesso al datore di lavoro non è poi molto distante dal "nuovo" art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, come modificato dal Jobs Act (ne abbiamo parlato qui): il divieto di strumenti di controllo a distanza "non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze. Le informazioni raccolte... sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro, a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d'uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal Codice della privacy...".
Ma se le norme sono simili... la loro applicazione pratica, nel concreto delle aziende, non sarà particolarmente difforme...

Dunque............?

Dunque, da un certo punto di vista, una volta tanto, viene in soccorso la Cassazione (Cass., 2 novembre 2015, n. 22353), la quale ha recentemente statuito che - soprattutto nei casi in cui i CCNL di riferimento o i codici di condotta interni prevedano, in caso di utilizzo della posta elettronica aziendale a fini privati, una sanzione conservativa - il mancato rispetto di tale divieto anche dopo ripetute ingiunzioni da parte del datore di lavoro non comporta giusta causa di licenziamento ex art. 2119 c.c..
Perché si possa procedere alla interruzione del rapporto di lavoro è necessario un danno effettivo alla azienda (Cass., 18 marzo 2014, n. 6222) oppure che la mail aziendale sia utilizzata non soltanto con finalità private, ma al fine di commettere un reato (Cass. 11 agosto 2014, n. 17859).

Però, dopo la riforma dell'art. 4 dello Statuto dei Lavoratori ad opera dell'art. 23 del D. Lgs. n. 151 del 2015, è ben possibile per il datore di lavoro - senza nessun previo accordo con i Sindacati - ad esempio controllare le mail del dipendente al fine di raccogliervi specifiche informazioni da utilizzare al fine di valutarne le performance.
Da questo punto di vista, i giudici penali si sono dimostrati assai più di manica larga rispetto a quelli civili, non riconoscendo in alcun caso il reato di intercettazione abusiva della corrispondenza.
Ecco allora che, in questo caso, torna in primo piano la normativa sulla privacy e in particolare il Provvedimento del Garante del 1° marzo 2007, di cui abbiamo già parlato diffusamente. Tale documento dispone l'obbligo del datore di lavoro di specificare con chiarezza se ed in che modo i dipendenti possano utilizzare a fini personali internet e la posta elettronica aziendale, indicando altresì modalità di controllo da parte del datore di lavoro e relative sanzioni. Ne abbiamo parlato diffusamente qui.
Possiamo stare tranquilli? No. In primo luogo, perché i dipendenti non hanno alcun potere per cercare di intervenire sulle disposizioni che il datore di lavoro introdurrà, ai fini che qui interessano, nel proprio DPS o in altro documento analogo; in secondo luogo, perché parte della dottrina ritiene che l'art. 4 post Jobs Act faccia salva l'applicazione del solo Codice della Privacy e non anche delle norme di secondo grado che da esso promanano.

Si tratta di interpretazione capziosa. Certo. Ma rende l'idea di dove siamo arrivati.


Per chi volesse approfondire la giurisprudenza CEDU, si rimanda ai seguenti casi: Halford v. the United Kingdom (25 June 1997), Copland v. the United Kingdom (n. 62617/00, CEDU 2007 I), Evans v. the United Kingdom (n. 6339/05, §§ 75 and 77, CEDU 2007 I), Jeunesse v. the Netherlands (n. 12738/10, § 106, 3 October 2014).

lunedì 11 gennaio 2016

Critica all'eredità di cittadinanza

Pagina99, da poco tornato nelle edicole e sul web in forma di settimanale (grazie a Sator di Matteo Arpe, che ne è il nuovo proprietario), lo scorso 4 gennaio ha lanciato una proposta davvero dirompente. Sul sito, infatti, si legge:
"Gli italiani si presentano al via con eredità molto diverse. Da 418 euro di debito a 213 mila di ricchezza... Una disuguaglianza che è ben più forte di quelle che riguardano il reddito e le condizioni di vita, e soprattutto non ha niente a che vedere con merito e capacità. Adesso un economista e grande studioso delle disuguaglianze, Tony Atkinson, avanza una proposta radicale: istituire un’eredità minima per tutti, da percepire al compimento dei diciotto anni. Insieme a un reddito minimo e a una serie di altre misure per combattere davvero la disuguaglianza. Che è cresciuta insieme alla povertà, colpendo soprattutto le famiglie con più figli minori...".
Dunque, non più solo il "reddito di cittadinanza", ma anche una "eredità di cittadinanza", che nelle teorie di Atkinson si sposa, manco a dirlo, con un inasprimento di quella particolare forma di "tassa patrimoniale" che è la "tassa sulle successioni e donazioni" (dice l'economista: "io propongo una nuova forma di trasferimento di ricchezza per via fiscale, basata sull'importo ricevuto nel corso della vita di ciascuno sotto forma di lasciti e doni. Tale imposta potrebbe contribuire a... «livellare il campo di gioco», soprattutto se il gettito della tassa... fosse usato per finanziare un patrimonio minimo per tutti al raggiungimento dei 18 anni". Nuova si fa per dire, visto che una tassa sulle successioni progressiva e per coacervo è esistita in Italia fino al 2001).
Le teorie di Atkinson sono ovviamente assai più complesse di quelle esposte in una semplice intervista (il suo ultimo libro sulla disuguaglianza lo trovate qui, ma il sullodato professore della London School of Economics si interessa della materia da quella quarantina d'anni... Avete presente l'Atkinson Index?). Tuttavia, qualcosa mi sento di dirla anche a partire da queste poche righe.
In primo luogo, resto sempre un po' perplesso quando un economista, sé dicente di sinistra, propone le stesse ricette di Milton Friedman. D'altronde, si tratta di un comportamento molto diffuso anche in Italia, come ben ha fatto notare il prof. Bagnai in più occasioni (per esempio qui); dal punto di vista antropologico, dunque, possiamo placidamente concludere che tutto il mondo è paese, ma dal punto di vista politico forse un po' di puzza di bruciato è il caso di sentirla.
Secondo. A che cosa servirebbe questo fantomatico "reddito di cittadinanza"? Atkinson lo dice solo di sponda: "ma la disuguaglianza non si riduce soltanto con tasse e maggiori spese... Ciò significa in primo luogo fronteggiare il problema della disoccupazione e dare alla riduzione della disoccupazione la stessa priorità del controllo dell'inflazione. Il lavoro, d'altronde, è solo una parte della storia. Anche il livello delle retribuzioni è importante. Nell'UE, solo circa dei disoccupati che trovano un lavoro ricevono uno stipendio che permetta loro di assicurare ai propri familiari un tenore di vita al di sopra della soglia di povertà. La povertà tra i lavoratori è il problema maggiore". Invece, Il Pedante è più chiaro: "in quanto al reddito di cittadinanza, versare un'elemosina di sopravvivenza ai disoccupati senza impiegarli consentirebbe di salvaguardare l'ordine sociale mantenendo al contempo alta la disoccupazione, cioè quell'esercito industriale di riserva che garantisce la disponibilità di lavoro a basso costo e a bassi diritti. Il vero capolavoro è che questa soluzione, a beneficio di pochissimi, sarebbe in carico alla fiscalità generale cioè ai "privilegiati" che, avendo un reddito da lavoro, dovrebbero cederne una parte per finanziare un meccanismo infallibilmente destinato a comprimere i loro stipendi...".
In altri termini: invocare un reddito di cittadinanza per finanziare una specie di elemosina di Stato a chi è disoccupato o occupato con stipendi da schiavismo, significa non voler in alcun modo mettere in dubbio i fondamentali del sistema che produce questi disoccupati e questi sotto-occupati. Anche il discorso di Atkinson, molto meditato e raffinato, finisce per dover essere letto a contrario: "certo, lo sono che sarebbe meglio avere piena occupazione e stipendi più alti, o servizi pubblici che funzionano; però, visto che le cose non stanno così, e non staranno mai così a causa della signora TINA, almeno diamo a questa massa di persone qualcosa per sbarcare il lunario" e potersi tranquillamente comprare auto, cellulare e vacanze al mare tutto a rate.
Siccome tutto si tiene, si tratta di quella che Bruno De Giusti, in un mitologico post, ha definito "rumenizzazione" del sistema economico-sociale: "non è che saremo senza pane e senza lavoro o reddito; il lavoro lo avremo, guadagneremo l’equivalente di 250-300 euro netti di oggi; con 100 euro pagheremo l’affitto della casa e col resto i prodotti che Sua Maestà il TTIP... ci metterà a disposizione...; il premio per l’assicurazione sanitaria sarà pagato dall'Azienda (con la A maiuscola in quanto archetipo della Mamma che provvede al Tutto) e conferito al fondo privato...; per le spese più significative avremo credito a costi altrettanto competitivi, tanto il rischio-insolvenza non esisterà più perché i tassi saranno a zero e se muori tu, il debito lo ripagheranno – in comode rate – i tuoi figli e nipoti. Avremo anche l’auto – rigorosamente tedesca – perché ci sarà messa gentilmente a disposizione come benefit... dall'azienda in cui lavoreremo". Ora, tutto questo funziona se le persone cessano di avere un proprio patrimonio e De Giusti infatti cita il tentativo di azzerare il risparmio mobiliare (grazie, primus inter pares, anche al bail-in, oltre che alle disposizioni che, cercando di azzera il contante, permetteranno alle banche di imporre ai correntisti tassi negativi su tutti i depositi) e immobiliare (IMU e TASI); il buon Atkinson, forse senza rendersene conto, va proprio alla fonte, semplicemente proponendo l'esproprio di buona parte delle ricchezze familiari.
Se infatti un simpatico giovine ha una casetta di proprietà dove vivere, e magari anche una in città o al mare da affittare, oppure due genitori che lo possono aiutare con quel po' di risparmi messi da parte (tanto loro hanno la pensione), è possibile che non accetti di lavorare chissà dove per chissà chi per chissà quale misero stipendio. Lo diceva la buona Irene Tinagli che, se uno ha la casa di proprietà, poi si sposta più difficilmente per mille mila chilometri in Europa, alla ricerca di uno straccio di lavoro (lei, poverina, ancora non lo sapeva, a quel tempo, che presto i suoi amici del Nord Europa avrebbero chiuso Schengen).
Non solo. Le patrimoniali, in qualunque forma si presentino, sono un toccasana per trasferire ricchezza dai privati allo Stato e, per quella via, dallo Stato ai creditori dello Stato medesimo. Che poi sono altri privati (leggi:banche, spesso straniere). Per capire dove si va a parare, bastano i tweet qui sotto (ed il relativo link).
Ecco cosa ci dice la Bundesbank (a gennaio 20141!), noto covo bolscevico votato alla difesa della vedova e dell'orfano.
"Nel corso della crisi del debito sovrano, di tanto in tanto sono sorti forti dubbi sul fatto se i singoli paesi membri della zona euro siano in grado di servire il debito pubblico o se stiano attuando le misure necessarie a livello politico... Questa situazione ha indotto l'area dell'euro a concordare varie misure di assistenza. Benché tali misure siano generalmente soggette a requisiti di consolidamento, esse tuttavia comportano una sostanziale mutualizzazione dei rischi di insolvenza degli stati senza essere controbilanciate da un corrispondente trasferimento di poteri sovrani a livello centrale".
Traduzione: nel 2011 l'innalzamento violento degli spread ha permesso di controllare via Troika alcuni Paesi, ma - ahimé - ancora brandelli di democrazia residuano a livello di Stato nazionale. Questo è un male, perché non permette ancora di prendere proprio tutte tutte le decisioni là dove siamo al riparo dal famoso processo elettorale.
"...In questo quadro gli stessi Stati membri sono in primo luogo responsabili delle proprie politiche fiscali ed economiche nazionali, l'assunzione di responsabilità per i debiti di altri Stati membri è in gran parte esclusa, ed è vietato il finanziamento dei governi attraverso la politica monetaria unica. Ciò dovrebbe garantire che la responsabilità ed il controllo siano tra loro collegati, in quanto, in prima istanza, sono i contribuenti dei rispettivi Stati membri che hanno la responsabilità del loro debito sovrano nazionale... Programmi di aggiustamento economico finanziati dai contribuenti di altri Stati membri devono essere utilizzati solo come eccezione... Visto il mandato per la stabilità dell'Eurosistema, assicurare un alleggerimento (reale) del debito attraverso una maggiore inflazione dovrebbe essere fuori discussione...".
Traduzione: ribadiamo che la BCE, di cui è nota l'indipendenza (anche per chi l'inglese lo fischia), deve continuare a garantire una situazione di bassissima inflazione, punto e basta: se no le nostre amatissime imprese finanziarie, che già traballano così come stiamo, dopo come fanno? I Paesi con alto debito se la vedano loro, rendano tutto quello che devono in moneta non svalutata, e zitti. Siamo o non siamo un'Unione?
"...Stando così le cose, sembrerebbe sensato in primo luogo abbattere il debito pubblico mobilitando le attività di proprietà pubblica attraverso misure di privatizzazione. Ma oltre a questo, ci si può anche chiedere se, in una situazione eccezionale di emergenza nazionale, le privatizzazioni e le misure di risanamento convenzionali finalizzate alla realizzazione a lungo termine di avanzi primari consistenti dovrebbero essere integrate da un contributo da parte di attività private già esistenti, allo scopo di scongiurare la minaccia di un default sovrano... Avendo in mente questo particolare contesto, questa scheda descrive i vari aspetti di un prelievo una tantum sulla ricchezza netta privata interna, in altre parole, un prelievo sulle attività al netto delle passività. Dal punto di vista macroeconomico, un'imposta patrimoniale una tantum - e ancor di più un'imposta permanente sulla ricchezza - è in linea di principio fonte di considerevoli problemi... Nella situazione eccezionale di un possibile default sovrano, però, un'imposta patrimoniale una tantum potrebbe rivelarsi più favorevole rispetto alle altre alternative disponibili... In condizioni favorevoli, un prelievo sulla ricchezza netta potrebbe portare a una redistribuzione di ricchezza una tantum dal settore privato al settore pubblico all'interno del paese in questione, facilitando in tal modo una diminuzione relativamente rapida e significativa del livello del debito sovrano e il ripristino più rapido della fiducia sulla sostenibilità del debito pubblico...".
Traduzione: l'avete capito o non l'avete che ci avete a ridare i soldi che abbiamo prestato a pene di segugio in tutti questi anni? Vendete tutto, possibilmente a qualche partecipata pubblica tedesca (a noi le privatizzazioni ci piacciono così), e poi se non basta ciucciate anche le proprietà dei vostri sudd... ehm cittadini.
E poi, ecco il coup de théâtre: "il pubblico consenso e la fattibilità politica di un'imposta patrimoniale una tantum potrebbero essere rafforzate presentandola come uno strumento di redistribuzione del reddito, che vale a integrare gli sforzi di austerità, che assicura che gli individui ricchi si assumano una quota maggiore dell'onere dell'aggiustamento, tanto più che gli specifici effetti redistributivi per un dato volume di prelievo possono essere guidati attraverso la concessione di franchigie fiscali e una modulazione dell'imposta".
Capito? Capito? Dite pure a quei caproni che vi votano che la patrimoniale (o l'imposta di successione) è contro i ricchi, solo tralasciate che, in questo caso, lo Stato Robin Hood prende sì, ma per dare ai più facoltosi. Ecco il famoso "socialismo per ricchi". D'altronde, non è un caso che i grandi magnati siano tutti a favore di imposte patrimoniali, soprattutto quando hanno la residenza in Svizzera. Siccome però va dato onore al merito (siamo o non siamo per la meritocrazia?), meglio di tutti la questione la spiega Una del PD (qui accanto).
Sì, perché, alla fin fine, chi soffre di più di imposte straordinarie come le patrimoniali è la mitica "classe media", fatta da persone che lavorano (e quindi già pagano le tasse) e un po' risparmiano (cioè sono, non speculatori, come si amano dipingere, ma "risparmiatori", cioè persone che dovrebbero essere protette dall'art. 47 della Costituzione: ma chi se ne frega, prima sempre i Trattati!), ma non mettono da parte abbastanza per poter portare in salvo, all'estero, le rispettive sostanze, ovvero per lasciarle sul suolo patrio (gli immobili, ad esempio, si spostano male) ma dandogli una qualche simpatica veste societaria o pseudo-societaria.
Ora, è vero che la proposta di Atkinson prevede un "vincolo" all'utilizzo delle risorse di questa specie di tassa sulle eredità. Ma è anche vero che tale vincolo non solo sarebbe facilmente aggirabile, ma addirittura contrario all'art. 53 della Costituzione che - ahimé - concepisce le imposte come "contribuzione alle spese pubbliche", non sistema unicamente rivolto alla redistribuzione dei redditi fra fasce diverse di popolazione (per di più con questo stucchevole retrogusto di contrasto generazionale, quasi fosse un Saviano qualunque).
Inoltre, Atkinson pare interessarsi molto poco all'utilizzo delle risorse versate ai singoli diciottenni. La sottolinea Dario Stevanato in un suo recente intervento (qui, dove si argomenta anche sulla evidente incostituzionalità della proposta): "se da un lato la mancata apposizione di vincoli all'utilizzo della dotazione patrimoniale la trasformerebbe probabilmente soltanto in una occasione di consumi per il maggiorenne (per viaggi vacanze, per l’acquisto di una chitarra elettrica, di una moto e così via), dall'altra l’apposizione di vincoli sarebbe criticabile per il suo dirigismo paternalistico, oltre a risultare in molti casi velleitaria". Si ritorna al punto di partenza: si impoverisce qualcuno, così non può permettersi di fare lo schizzinoso quando si tratta di lavorare, si "arricchisce" leggermente un altro, così ha quel minimo che basta per pagare le rate di tutto quello che vogliamo vendergli. Ad maiorem gloriam bancarum.
Allora la questione è forse un'altra. Forse la vera "eredità di cittadinanza" dovrebbe essere composta di un welfare funzionante, di un sistema sanitario veramente universale che assicuri la salute a tutti i cittadini, di una scuola pubblica che insegni davvero e permetta l'elevazione morale e materiale anche di chi non si può permettere l'MBA in America, di abitazioni che non rischiano di finire sott'acqua alla prima pioggerellina perché il fiume l'ultima volta l'hanno pulito nel Millequattrocento quasi Millecinque, della ragionevole aspettativa di confrontarsi con un mercato del lavoro che non espelle continuamente lavoratori ma tende alla piena occupazione, e così via.
La vera "eredità di cittadinanza", da lasciare ai nostri figli, sarebbe dunque quella di riappropriarci della nostra sovranità politica, economica e monetaria. Sarebbe, cioè, quella di uscire dall'Euro e da quel sistema assurdo di vincoli - da Maastricht in poi - di cui la Moneta Unica è il prodotto e il più becero Monetarismo l'ispiratore. Sarebbe il più bel regalo che si possa fare al futuro del nostro Paese. Secondo Qualcuno, addirittura, così l'Italia può farcela.

martedì 5 gennaio 2016

Giudici costituzionali a 5 stelle: Giulio Prosperetti

Grazie al putiferio agro-bancario scatenato col caso Boschi-Banca Etruria, i rappresentanti del M5s sono abilmente riusciti a far passare sotto silenzio l'accordo con il PD per l'elezione di tre giudici costituzionali: Gli eletti sono Franco Modugno (docente emerito alla Sapienza di Roma, già preside della facoltà di Scienze Politiche nel medesimo Ateneo e professore alla Luiss), Augusto Barbera (fugace Ministro per i Rapporti con il Parlamento nel 1993, prolifico scrittore di testi di diritto costituzionale, di cui un manuale con Giuliano Amato, deputato Pds) e Giulio Prosperetti (sessantenne, un ragazzino rispetto agli altri, è professore di Diritto del lavoro nella facoltà di giurisprudenza dell'università “Tor Vergata”).
Per Renzi - alla vigilia di importantissime battaglie, quali quelle relative alla legittimità costituzionale dell'Italicum e del Jobs Act - si tratta di una vittoria importantissima. D'altronde, quando il bisogno chiama, il M5s (fedele al suo ruolo naturale) corre sempre.
Qualche chicca, sui neo-giudici, è già stata scritta. Ma siccome repetita iuvant, vale la pena, secondo me, tracciare qualche breve monografia. Senza anticipare nulla, l'analisi dei singoli quadri mostra, credo, un interessante disegno di insieme. Un polittico, diciamo, per rimanere in metafora. Anche qui, come sempre, "unire i puntini" (© Bagnai) aiuta.

Posto che questo dovrebbe essere un blog che parla di diritto del lavoro, noi ci focalizziamo - noblesse oblige - su Giulio Prosperetti, che da anni si interessa, fra le varie cose, soprattutto di welfare, sistema pensionistico, ammortizzatori sociali.
Escono nel 2008, per i tipi di Giuffré, gli Atti delle Giornate di studio di diritto del lavoro tenutesi a Venezia a maggio 2007 (Disciplina dei licenziamenti e mercato del lavoro, lo trovate qui) e il Nostro affronta subito di petto la questione che gli sta a cuore: "in maniera forse provocatoria, ormai da qualche tempo sostengo che il modello che abbiamo oggi in Italia si fonda, a ben vedere, sul lavoro nero. Se, infatti, la fissazione di minimi salariali ha evitato al nostro Paese una riduzione delle retribuzioni come invece è accaduto là dove questo limite non era previsto, non si può non ammettere che ciò ha comunque avuto come conseguenza lo sviluppo del sommerso. Il sistema di welfare italiano, frutto di un continuo riadattamento di vecchie categorie, ne è uscito notevolmente appesantito, gravando proprio sulle aziende, che non sono riuscite a sostenere i costi del lavoro regolare e che, conseguentemente, ha dovuto scegliere fra impiegare irregolarmente personale... e [cioè: o] decidere di non aumentare il numero di occupati".
Già in queste poche righe c'è tutto un mondo. L'idea che le imprese possano gestire shock esterni soltanto mediante la deflazione salariale, che è però resa più difficile dall'esistenza di salari minimi soprattutto ove determinati per via di contratto collettivo nazionale (ne abbiamo parlato qui e qui), idea questa che con ogni evidenza postula come un dato immutabile (ah, la signora TINA!) la perdita di sovranità monetaria dell'Italia; la tesi che il sommerso è, in fondo, un volano di flessibilizzazione del lavoro e dunque, in ultima analisi, di maggiore produttività del nostro tessuto produttivo per cui, in ultima analisi, deve essere in qualche misura tollerata ove non addirittura incentivata (vedi per esempio qui); che, dopo la globalizzazione, il mondo di ieri non esiste più, e dunque il welfare deve lasciare spazio alla flessibilità (e sì che Prosperetti è stato allievo di Gino Giugni). A voler continuare la lettura dell'intervento, non manca peraltro il solito accento all'utilizzo degli ammortizzatori sociali "per fra fronte a qualsiasi tipo di crisi, riversando i costi del c.d. assistenzialismo [?, N.d.R.] sul sistema previdenziale",
Queste riflessioni, contemporanee all'esplosione dell'attuale crisi economica, si arricchiscono e approfondiscono negli anni a venire. Ad esempio, nella relazione al Seminario interdisciplinare sul tema “Attualità dei principi fondamentali della Costituzione..." del 2010 (è qui) si giustifica la rottura del monopolio pubblicistico nel settore del collocamento a partire dalla costatazione che "non essendo più l'occupazione automaticamente garantita dal sistema industriale, questa va creata proprio attraverso le capacità personali dei singoli", che "il collocamento privato è in grado di scoprire e implementare". Si tratta di una declinazione, anche molto sofisticata, del noto frame della "meritocrazia" (così caro a chi, per motivi di censo, può non applicare a se stesso).
Il Pedante ci ha dimostrato quanto questo concetto sia legato a quello, ulteriore, del reddito di cittadinanza (o di sudditanza, se si preferisce). Infatti, ecco che - partendo dall'ennesima ipostatizzazione di un dato meramente transeunte, quale è quello del dumping sociale in un contesto di globalizzazione selvaggia, che poi, anche in questo caso, è una rappresentazione molto accademica di un altro luogo comune, quello che "oggi c'è la Ciiiiinaaaa!" (© Claudio Borghi) - il prof. Prosperetti chiosa: "nel prossimo futuro è ipotizzabile un assetto totalmente diverso rispetto alla tradizionale ripartizione in assistenza, previdenza e retribuzione sinallagmatica... In questo contesto è prevedibile che si arrivi a modelli di sicurezza sociale dove la retribuzione erogata dalle imprese non sia sufficiente al tenore di vita dei Paesi sviluppati, sicché, ove si vogliano mantenere determinare produzioni in Europa, si dovrà necessariamente ricorrere ad integrazioni del reddito dei lavoratori impiegati in aziende esposte alla concorrenza". Vi ricorda qualcosa? Forse il sistema Hartz IV tedesco? Siete sempre così malfidati...
Comunque attenzione... perché questo reddito di cittadinanza non è mica gratis! In Nuove politiche per il welfare state (del 2013: è qui) si legge: "a tal fine, potrebbe superarsi la logica dello scambio sinallagmatico retribuzione-lavoro, per costruire una diversa ragione di scambio: lavoro sociale a fronte di indennità assistenziali, ossia non uno scambio mercantile, ma uno scambio di solidarietà". Insomma, la versione rivista e corretta, in salsa schiavistica, del noto DWP della perfida Albione.

Ricapitoliamo: accettazione pura e semplice del sistema economico-sociale attuale (cioè del sistema ordoliberista che sta strangolando il mondo occidentale), lucida accettazione della necessità per le imprese - entro questo sistema - di competere mediante continua deflazione salariale, adesione ad un modello mercantilistico che si giova di aiuti di Stato surrettiziamente contrabbandanti per prestazioni assistenziali (come una Maria Antonietta qualunque).

Uno così, che penserà dei tagli alle pensioni (via blocco della rivalutazione, o anche, eventualmente, mediante contributo di solidarietà)? Indovina indovinello... (qui per chi ha poca immaginazione). Chiamato a pronunciarsi sulla sentenza 70, Prosperetti critica in primo luogo nell'assunto della Corte, che "fa assurgere la conservazione dei trattamenti pensionistici a principio di rango costituzionale", mentre da nessun articolo della Carta si evincerebbe "il principio della immodificabilità del potere d’acquisto delle pensioni, anche se certamente la Corte costituzionale può esercitare un giudizio di merito in ordine al rispetto dei mezzi adeguati e alla sufficienza dei trattamenti...". Per questa via, secondo l'Autore, si farebbe nuovamente "riferimento... ai diritti quesiti, concetto... che sembrava essere ormai archiviato con riferimento alla complessa dinamica dei diritti sociali".
Chiaro? In campo sociale, nulla è più acquisito..., tutto può essere ridiscusso, laddove se ne crei - in modo artificioso - la necessità economica. Infatti, da un lato "è impensabile che lavoratori con salari ridotti dalla crisi economica debbano mantenere ricche pensioni immodificabili", mentre dall'altro (posto che "il sistema di finanziamento a ripartizione è già in crisi da molti anni ed è per questo che lo Stato è costretto ad integrare la gestione pensionistica dell’Inps") "l’intervento statale nel ripianare i conti dell’Inps è già importante e comunque destinato a crescere il diritto alla pensione acquisirà sempre più le caratteristiche di diritto finanziariamente condizionato".
Per essere ancora più chiari: "se c’è pertanto l’esigenza di abbassare il livello delle pensioni, anche perché come scriveva Giugni nel ricordato intervento del 1984, i pensionati non devono risparmiare ma solo consumare, il problema è soltanto di ordine tecnico attraverso quale strumento arrivare ad una equa riduzione della spesa pensionistica. Proprio questo, a mio avviso, è mancato nella sentenza della Corte costituzionale, che ha censurato la sterilizzazione delle pensioni per due anni sul presupposto che questa avrebbe poi avuto influenza sull'ammontare della pensione anche quando la rivalutazione sarebbe stata ripristinata; l’intento virtuoso del legislatore era, invece, proprio quello di provocare un graduale abbassamento delle pensioni".
Virtuoso.
Solo in Grecia, d'altronde, sono più bravi di noi.
Quando la Corte affronterà il Jobs Act, o quando arriverà la Troika - e arriverà - il prof. Prosperetti vi difenderà con questi argomenti. Tenetelo presente. Almeno non avrete brutte sorprese.