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domenica 13 settembre 2015

Controlli a distanza, ma molto vicini

C'era una volta l'art. 4, cc. 1 e 2, dello Statuto dei Lavoratori... Un attimo, direte voi. Perché inizi dalla fine, dall'ultimo dei decreti pubblicati? Perché è l'attualità, cari miei, e poi perché comunque faccio come mi pare.
Dunque, dicevo, c'era una volta l'art. 4, cc. 1 e 2, dello Statuto dei Lavoratori, secondo il quale
è vietato l'uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori. Gli impianti e le apparecchiature di controllo che siano richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori, possono essere installati soltanto previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali... In difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro, provvede l'Ispettorato del lavoro, dettando, ove occorra, le modalità per l'uso di tali impianti.
In sostanza: i controlli a distanza "diretti" sono vietati, i controlli "indiretti" sono leciti solo previo accordo sindacale o nulla osta della competente autorità amministrativa.
L'art. 23 dell'emanando decreto legislativo di "semplificazione" (?) delle norme in materia di lavoro, riscrive marginalmente la disposizione, ma aggiunge due commi che, sostanzialmente, ne annullano gli effetti per quanto riguarda i controlli "indiretti" (cioè tutti, eccetto che per quanto riguarda le telecamere piazzate dietro la nuca dei dipendenti):
la disposizione di cui al comma 1 non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze. Le informazioni raccolte... sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro, a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d'uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal Codice della privacy.
Checché ne dica il prof. Ichino, i tratta di una norma deflagrante. Dice infatti il nostro emerito, prestato per puro spirito di servizio alla politica, che di badge per il controllo accessi, cellulari, PC e Tablet se ne usano ormai a bizzeffe nelle aziende, senza che vi sia stato alcun accordo sindacale a monte e senza alcun contenzioso a valle (il nostro emerito, per la verità, aggiunge una tripla idiozia carpiata sul presunto "silenzio" in materia del Garante della privacy, come vedremo, guadagnandosi anche una risposta piuttosto piccata dall'interessato).
Quello che il sullodato professore, politico, giornalista e blogger evita di sottolineare è che la norma in questione è volta non a rendere lecito l'utilizzo di questi mezzi tecnologici (cosa del tutto pacifica), bensì a renderne lecita la tracciatura anche (e soprattutto) a fini disciplinari.
Sulla questione, per quanto riguarda il badge, l'aveva toccata piano già la Cassazione quasi una decina di anni fa:
In tema di divieto di utilizzo di apparecchiature per il controllo a distanza dell'attività dei lavoratori previsto dall'art. 4..., la rilevazione dei dati di entrata ed uscita dall'azienda mediante un'apparecchiatura di controllo predisposta dal datore di lavoro per il vantaggio dei dipendenti (nella specie, un congegno di sicurezza predisposto nel locale garage ove posteggiare le autovetture dei dipendenti durante l'orario di lavoro, attivabile mediante un tesserino personale assegnato a ciascun dipendente con il quale venivano attivati anche gli ingressi agli uffici) ma utilizzabile anche in funzione di controllo dell'osservanza dei doveri di diligenza nel rispetto dell'orario di lavoro e della correttezza dell'esecuzione della prestazione lavorativa, non concordata con le rappresentanze sindacali, né autorizzata dall'ispettorato del lavoro, si risolve in un controllo sull'orario di lavoro e in un accertamento sul "quantum" della prestazione, rientrante nella fattispecie prevista dal secondo comma dell' art. 4 della legge n. 300 del 1970; né l'esigenza di evitare condotte illecite da parte dei dipendenti può assumere portata tale da giustificare un sostanziale annullamento di ogni forma di garanzia della dignità e riservatezza del lavoratore (Cass., 17 luglio 2007, n. 15892).


Non mi pare proprio identico identico a quanto previsto dal Jobs Act (""). Ma forse sono io.
Né io né voi, d'altronde, siamo Ichino. Che però, sicuramente, se avesse tempo da perdere con me, subito - con cipiglio professionale - mi apostroferebbe di rimando: "ma la posta elettronica dei dipendenti, l'azienda è da tempo che la può guardare!".
Insomma...
La giurisprudenza anche in questo caso è piuttosto chiara:
Il divieto di utilizzo di apparecchiature per il controllo a distanza dell'attività dei lavoratori... trova applicazione anche con riferimento ai c.d. controlli difensivi soltanto quando questi siano unicamente diretti a verificare l'esatto adempimento, da parte del lavoratore, delle obbligazioni nascenti dal rapporto di lavoro; al contrario, il medesimo divieto non trova applicazione in tutte quelle ipotesi in cui i controlli siano posti in essere da parte del datore di lavoro al fine di accertare eventuali condotte del lavoratore lesive di beni e/o diritti esulanti dallo stretto ambito del rapporto di lavoro, quali per esempio il patrimonio e l'immagine aziendale (Cass., 23 febbraio 2012, n. 2722).
Dunque la posta elettronica poteva essere controllata dal datore di lavoro al fine di verificarne l'eventuale nullafacenza? NO. Come dici? NO. Il datore di lavoro poteva invece controllare la posta di un dipendente per verificare, chessò?, se questo mandava in giro per l'orbe terracqueo segreti industriali? Ecco sì, questo lo poteva fare.
Col Jobs Act, invece, repetita iuvant, può fare l'una cosa e l'altra. "A tutti i fini connessi al rapporto di lavoro". Punto e basta. Dice in proposito quel sindacalista sfegatato che è il Garante della privacy:
...per delineare – come imposto dal criterio di delega – un equilibrio ragionevole tra ragioni datoriali e tutela del lavoratore, tra economia e diritti, si sarebbe dovuto riflettere non tanto sulla concertazione sindacale, quanto sull'effettiva estensione e pervasività dei... controlli. La disciplina proposta dallo schema di decreto consente infatti l’utilizzabilità dei dati raccolti mediante i controlli a distanza (previa concertazione o meno) per "tutti i fini connessi al rapporto di lavoro".... Si tratta, indubbiamente, di un'innovazione non irrilevante. Soprattutto rispetto all'indirizzo giurisprudenziale [che ho riportato qui sopra] che, ad esempio, ha escluso l’utilizzabilità dei dati ottenuti con controlli difensivi, per provare l’inadempimento contrattuale del lavoratore. E rispetto alla Raccomandazione del 1° aprile del Consiglio d’Europa, che in particolare auspica la minimizzazione dei controlli difensivi o comunque rivolti agli strumenti elettronici; l’assoluta residualità dei controlli, con appositi sistemi informativi, sull'attività e il comportamento dei lavoratori in quanto tale; il tendenziale divieto di accesso alle comunicazioni elettroniche del dipendente...
Lo stesso varrà per l'utilizzo di internet tramite strumenti aziendali (computer, Tablet, telefonini, ecc.). D'altronde
Dunque, tutto è permesso. Tanto il Jobs Act è di sinistra.


Peraltro, la norma, oltre a essere sbilanciata a danno dei lavoratori, non è neppure chiara. Secondo alcuni, per esempio,
restano materia di accordo sindacale tutti i sistemi di controllo che non siano originari dello strumento messo nella disponibilità del lavoratore o che comunque raccolgano informazioni ulteriori rispetto al mero “accesso” ai locali fisici o ai sistemi, cioè “strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa”, ovvero un personal computer o un device mobile ma non invece alle apparecchiature, sistemi o strumenti che, gestiti dal datore di lavoro e che rappresentano un elemento in più “aggiunto” allo strumento, non utilizzato per l’attività lavorativa, permettono il controllo indiretto dell’attività del lavoratore (o alcune operazioni effettuate come il cambio di SIM o lo scarico di APP o, lo spostamento geografico tramite sistemi di geolocalizzazione).
Tuttavia, è lo stesso On. Sacconi, nella propria relazione alla XI Commissione del Senato, a sottolineare come "lo stesso Garante si sia spinto recentemente ad autorizzare entro certi limiti l'utilizzo da parte di due società telefoniche di un'apposita applicazione installata sugli smartphone dei dipendenti e che consente la loro geolocalizzazione al fine di garantire una migliore tempestività e gestione degli interventi tecnici, attraverso una configurazione del sistema che renda sempre ben visibile quando la funzione di geolocalizzazione sia stata attivata e non consenta il monitoraggio di altri dati. Il Garante ha ritenuto che le finalità del trattamento, così come rappresentate dalle Società richiedenti, risultano lecite, in quanto effettuate nell'ambito del rapporto di lavoro per soddisfare esigenze organizzative e produttive, ovvero per la sicurezza del lavoro e non riconducibili a finalità principali di controllo personale o di profilazione dei dipendenti, tanto che i dati non potranno essere utilizzati per scopi diversi da quelli dichiarati".
In sostanza (e lo dicono quei noti bolscevichi di @italiaoggi):



Resta, cioè, la normativa del Garante sulla privacy. Prossimo post...


domenica 6 settembre 2015

Back to basics: cosa è il Jobs Act

Il Jobs Act (Legge 10 dicembre 2014, n. 183) propriamente detto è una legge-delega, cioè una legge (votata dal Parlamento, che è come dire i nostri rappresentanti) che autorizza il Governo ad emanare altre leggi (queste leggi si chiamano Decreti Legislativi). In sé, nulla di male: il Parlamento fissa i tempi, i principi e i criteri direttivi della delega; le Commissioni parlamentari interessate esprimono pareri, ancorché non vincolanti, sugli schemi di Decreto Legislativo; i Decreti, infine, sono firmati dal Presidente della Repubblica, che li sottopone a un primo vaglio di costituzionalità.
Il Jobs Act, però, mostra tutta una serie di particolarità. Primo: la legge delega è composta da un solo articolo, su cui il Governo ha posto - in Senato - la questione di fiducia. Secondo (lo vedremo meglio): i sullodati "principi e criteri direttivi" sono quasi assenti. In sostanza, il delegato è quasi un auto-delegato, per di più in bianco. Il futuro testo... da accettare a scatola chiusa. Si tratta della prima volta? No. Si tratta della più grave? Attesa la materia, forse sì.
Deleghe fatte approvare a colpi di fiducia, recanti principi e criteri direttivi indeterminati se non addirittura inesistenti, si sono già avute proprio in materia giuslavoristica (cfr. la legge n. 247/2007, Norme di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitività per favorire l'equità e la crescita sostenibili, nonché ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza sociale). Tuttavia, un conto è operare un «riordino della normativa» in materia di servizi per l’impiego, gli incentivi alla occupazione e apprendistato (art. 1, c. 30, 31 e 32, l. 247/2007), altro conto è costituire ex novo un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato innovando, tra l’altro, al regime delle tutele contro i licenziamenti illegittimi (Andrea Guazzarotti).
Non solo: gli ultimi Decreti sono stati approvati in Consiglio dei Ministri il 4 settembre, sebbene la scadenza della delega sia fissata per il 16 dello stesso mese. Il Presidente della Repubblica, dunque, non ha avuto i 20 giorni previsti dalla legge per l'esercizio del suo controllo prima dell'emanazione (art. 14, c. 2, L. n. 400 del 1988); la scatola deve rimanere chiusa per tutti, fino all'ultimo. Non siamo arrivati alle sostituzioni in commissione, o all'utilizzo di canguri (o similari mezzi di trasporto dei disegni di legge), ma poco ci è mancato.
Pare un pochino arrogante. Ma è tutto assolutamente giustificato:
Non ho idea se il tweet sia stato scritto prima o dopo la rettifica dei dati falsi. Qualcuno, però, il dubbio se lo è posto.
Anche su questo avrò modo di tornare. Per chi vuole sapere "come va a finire", può comunque leggersi questo splendido commento su Orizzonte48. Per ora, mi limito a dar conto, in breve, degli articoli della legge. Tutta la documentazione, anche preparatoria, la trovate qui.

I commi 1 e 2 riguarda la "razionalizzazione della normativa in materia di integrazione salariale", cioè - in pratica - la riforma della Cassa Integrazione e delle varie forme di sostegno al reddito per chi è licenziato. Si chiamano NAspI e DIS-COLL, e ho detto tutto. A proposito: la NAspI è partita subito alla grande:
I relativi "criteri direttivi" sono, per dirla in modo un po' vintage, una lenzuolata, anche se poi, a voler stringere, si riducono a pochi cardini:
- gli ammortizzatori intervengono solo dopo "averle provate tutte" in azienda, dal part-time ai contratti di solidarietà (che devono essere rivisti): d'altronde l'importante è sempre e comunque svalutare il lavoro (cioè ridurre stipendi);
- il sussidio di disoccupazione deve essere esteso a tutti i lavoratori, ma soltanto sulla base dei contributi pregressi (perché è noto che solo chi ha lavorato a lungo deve sfamare la famiglia) e con limitazione alle contribuzioni figurative (anche se poi, come di nascosto, l'art. 1, c. 2, lett. b, n. 5 - sì perché le leggi oggi si scrivono così - sembra quasi aprire all'ortotterissimo, © Bagnai, reddito di sudditanza);
- gli ammortizzatori devono spingere a cercare un nuovo impiego (leggi: devono cessare alla prima proposta di riassunzione, quale che sia);
- la schiavitù non è più vietata, ma - come tutte le cose eticamente discutibili - monopolio assoluto di Stato. Riporto i Santommasi di passaggio: "previsione che il coinvolgimento attivo del soggetto beneficiario dei trattamenti... possa consistere anche nello svolgimento di attività a beneficio delle comunità locali, con modalità che non determinino aspettative di accesso agevolato alla Pubblica Amministrazione".
Certo, qualcuno dirà: "sai che novità!". Ma lo dice perché è fascista.
Tradotto:
I commi 3 e 4 riguardano il "riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive". Siccome il blog è il mio, chi è interessato ai relativi "principi e criteri direttivi" se li legge da solo, perché io non ce la faccio (perché?, ve ne riporto uno: "p) introduzione di principi di politica attiva del lavoro che prevedano un collegamento tra misure di sostegno al reddito e misure di inserimento occupazionale “anche attraverso la conclusione di accordi per la ricollocazione che vedano come parte le agenzie per il lavoro o altri operatori accreditati, con obbligo di presa in carico, e la previsione di adeguati strumenti e forme di remunerazione, proporzionate alla difficoltà di collocamento, a fronte dell’effettivo inserimento almeno per un congruo periodo, a carico dei fondi regionali a ciò destinati ").


Il punto fondamentale, comunque, è sempre il solito: "attivazione del soggetto che cerca lavoro... al fine di incentivarne la ricerca attiva di una nuova occupazione...", cui si aggiunge qui il concetto, un po' dadaista, di "auto-occupazione".

I commi 5 e 6 riguardano "uno o più decreti legislativi contenenti disposizioni di semplificazione e razionalizzazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese". In particolare, il comma 6 è tutto un tripudio di telematica, integrazione, snellimento. I commi 8 e 9, invece, attengono ai congedi parentali e rappresentano il poco di buono della legge.

E poi c'è lui, la guest star, il comma 7. Lo riporto per vostra edificazione, con qualche breve commento qua e là. L'analisi puntuale, nei prossimi post.
Allo scopo di rafforzare le opportunità di ingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che sono in cerca di occupazione,
cioè: rendo più flessibile l'uscita dal mondo del lavoro, in altri termini vi faccio licenziare come e quando pare al vostro datore di lavoro, e solo per questo i suddetti datori di lavoro vi assumeranno di più (indipendentemente dalla situazione economica generale, dai movimenti della domanda aggregata, ecc. ecc.). Non fa una grinza (oppure sì?).
nonché di riordinare i contratti di lavoro vigenti per renderli maggiormente coerenti con le attuali esigenze del contesto occupazionale e produttivo e di rendere più efficiente l'attività ispettiva, il Governo è delegato ad adottare, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi, di cui uno recante un testo organico semplificato delle discipline delle tipologie contrattuali e dei rapporti di lavoro, nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi, in coerenza con la regolazione dell'Unione europea e le convenzioni internazionali:
a) individuare e analizzare tutte le forme contrattuali esistenti, ai fini di poterne valutare l'effettiva coerenza con il tessuto occupazionale e con il contesto produttivo nazionale e internazionale, in funzione di interventi di semplificazione, modifica o superamento delle medesime tipologie contrattuali;
b) promuovere, in coerenza con le indicazioni europee, il contratto a tempo indeterminato come forma comune di contratto di lavoro rendendolo più conveniente rispetto agli altri tipi di contratto in termini di oneri diretti e indiretti;
cioè: non è che lo Stato si pone come obiettivo quello di estendere le tutele a chi non ce le ha, attraverso un sistema legislativo che sia coerente con le indicazioni della Costituzione Repubblicana (articolo 1, articolo 4, articolo 36), ma di disarticolare l'attuale tipologia contrattuale a tempo indeterminato al fine di renderla "più conveniente", o per meglio dire "meno onerosa" (indovinate a svantaggio di chi).
c) previsione, per le nuove assunzioni, del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all'anzianità di servizio, escludendo per i licenziamenti economici la possibilità della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, prevedendo un indennizzo economico certo e crescente con l'anzianità di servizio e limitando il diritto alla reintegrazione ai licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato, nonché prevedendo termini certi per l'impugnazione del licenziamento;
cioè: abrogazione dell'art. 18, peraltro già semi-abrogato dalla sempre martire Fornero.
d) rafforzamento degli strumenti per favorire l'alternanza tra scuola e lavoro;
e) revisione della disciplina delle mansioni, in caso di processi di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale individuati sulla base di parametri oggettivi, contemperando l'interesse dell'impresa all'utile impiego del personale con l'interesse del lavoratore alla tutela del posto di lavoro, della professionalità e delle condizioni di vita ed economiche, prevedendo limiti alla modifica dell'inquadramento; previsione che la contrattazione collettiva, anche aziendale ovvero di secondo livello, stipulata con le organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale a livello interconfederale o di categoria possa individuare ulteriori ipotesi rispetto a quelle disposte ai sensi della presente lettera;
cioè: c'era una volta, e ora non c'è più, il divieto di demansionamento, previsto dall'art. 2103 c.c.. Futuro post certo sull'argomento.
f) revisione della disciplina dei controlli a distanza sugli impianti e sugli strumenti di lavoro, tenendo conto dell'evoluzione tecnologica e contemperando le esigenze produttive ed organizzative dell'impresa con la tutela della dignità e della riservatezza del lavoratore;
Lascio la parola a chi ha grande dono di sintesi.

g) introduzione, eventualmente anche in via sperimentale, del compenso orario minimo, applicabile ai rapporti aventi ad oggetto una prestazione di lavoro subordinato, nonché, fino al loro superamento, ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, nei settori non regolati da contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, previa consultazione delle parti sociali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale;
h) previsione... della possibilità di estendere, secondo linee coerenti con quanto disposto dalla lettera a) del presente comma, il ricorso a prestazioni di lavoro accessorio per le attività lavorative discontinue e occasionali nei diversi settori produttivi, fatta salva la piena tracciabilità dei buoni lavoro acquistati...;
i) abrogazione di tutte le disposizioni che disciplinano le singole forme contrattuali, incompatibili con le disposizioni del testo organico semplificato....;
l) razionalizzazione e semplificazione dell'attività ispettiva.... 
Ovviamente, tutto a pro nostro...

giovedì 3 settembre 2015

Le riforme!

Sono stato per tanti anni uno smemorato e probabilmente lo sono stati anche molti di voi. Abbiamo studiato (cioè: siamo andati a scuola), abbiamo cercato lavoro, magari - con qualche fortuna - lo abbiamo anche trovato, abbiamo addirittura messo su famiglia.
Sempre protesi in avanti, senza mai guardare indietro. Senza sforzarci troppo di capire il passato, figurarsi il presente. Per fretta e superficialità, certo, molto anche per quel po' di conformismo che alberga in ognuno di noi e per cui "le riforme sono strutturali e le olive sono greche", troppo per un'ossessiva campagna di disinformazione a tutti i livelli, sulla carta stampata, alla televisione, addirittura su internet. Questo, per esempio, è un grafico a caso preso dal sito dell'OECD (cioè l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, non uno di passaggio):



Poi però succede che la realtà ti si impone e il frame, anche se ossessivo, non raggiunge più i suoi scopi.Vuoi capire. Per farlo, ovviamente, c'è bisogno di aiuto. I siti e i blog indicati a destra di questo post, per esempio, sono - come recita la nota barzelletta - un ottimo inizio.
Poi ci sono i libri: di Bagnai, di Barra Caracciolo, di Giacchè.
E allora perché scrivere ancora, soprattutto se non si hanno né i titoli accademici, né la verve dialettica, né le conoscenze degli autori in questione?
Perché mi piacerebbe trasformare questo blog in un - diciamo così - case study. Mi spiego meglio. Il concetto di "riforma strutturale", se applicato al mercato del lavoro, significa "volto a comprimere salari e diritti" (© Alberto Bagnai): lo dimostrano grafici, dati, studi a bizzeffe. Se ne sono accorti addirittura i sindacati (che, come il noto marito, le dinamiche relative al lavoro sono sempre gli ultimi a conoscerle):
Io vorrei più minutamente verificare questa intuizione su singoli provvedimenti di legge di volta in volta approvati dal Parlamento (quando non sono decreti delegati, cioè quasi sempre). Ovviamente - per aspera ad astra - si comincia con il "Jobs Act".
Venite con me.